Il contributo di Marco Cappato

Il motto della campagna – «Liberi fino alla fine», non «Finalmente liberi» – non punta certo a proporre la morte come liberazione da guai passeggeri della vita, ma a stabilire il diritto della persona affetta da sofferenza insopportabile ed irreversibile di esercitare la propria libertà di scelta fino alla fine della propria vita, eventualmente anche nel farsi aiutare da un medico a porre fine alla propria esistenza. Essendo il referendum solo abrogativo abbiamo potuto soltanto proporre la cancellazione del reato che condannerebbe fino a 15 anni di carcere il medico che facesse in Italia ciò che può invece fare legalmente un medico in Spagna. Le procedure e condizioni per accedere a tale diritto saranno invece compito del Parlamento.

AL NOSTRO CONGRESSO don Ettore Cannavera ha dichiarato: «Se a fronte di atroci sofferenze la decisione migliore per qualcuno è interrompere la vita, allora io gli dico… fallo serenamente, sarai benedetto dal Padre Eterno».
Ecco sull’eutanasia è ora di aprire un dibattito anche teologico all’interno della Chiesa cattolica, intesa non semplicemente come gerarchie vaticane ma come comunità dei credenti. Quel 52 per cento di praticanti assidui della messa che a nordest sono a favore della possibilità di un medico di terminare la vita del paziente su sua richiesta (fonte Ipsos, Il Gazzettino) indicano l’esistenza di quello che il grande filosofo e esponente dell’esistenzialismo cristiano Pietro Prini definiva «scisma sommerso». Ringrazio don Ettore Cannavera perché aiuta ad aprire finalmente quel dibattito all’interno della chiesa cattolica, a far emergere quello scisma.

NON CREDO CHE nella storia della Repubblica alcun referendum sia stato mai a tal punto preparato e dibattuto quanto questo. Il soggetto promotore del referendum – l’Associazione Luca Coscioni – ha tenuto due riunioni pubbliche del proprio consiglio generale e ha consultato alcuni dei principali giuristi italiani per elaborare il testo del quesito referendario. Ma soprattutto la decisione di procedere alla raccolta firme è il risultato di un processo lungo quindici anni passato per una legge di iniziativa popolare depositata 8 anni fa e sottoscritta da oltre 140.000 cittadini. Iniziò 15 anni fa quando il Presidente Napolitano risposte a Welby che «l’unico atteggiamento ingiustificabile sarebbe il silenzio» sul tema.

Il contributo di Mina Welby

E invece, come oggi la politica delegittima un organo come la Corte Costituzionale, allora si fece sorda anche ai richiami del Presidente della Repubblica. Ho sentito morire me stessa accanto a quell’eroe di mio marito, Piergiorgio Welby. Era il 20 dicembre 2006. Le tracce della sua sofferenza le trovo nei suoi scritti, nei suoi disegni. Lui mai un lamento, né con me, né con chi lo venne a trovare. All’accanimento terapeutico e a una sopravvivenza costrittiva da una macchina senza cuore seguivano, ancor peggio, le umiliazioni dettate dagli attestati di compassione percepibili come olio sulle ustioni.

ANCH’IO SONO una cattolica praticante, anch’io prima che mio marito si ammalasse forse non avrei parlato volentieri di eutanasia. Credo in Dio, la vita è il dono più grande che possiamo ricevere. Ma ho iniziato a distinguere l’amore dall’egoismo. A conoscere la parola libertà.
Una cosa che ha ferito profondamente la mamma di Piergiorgio fu la non concessione dei funerali in chiesa. La sua morte non era eutanasia e anche il catechismo (secondo l’articolo 2278 di quel testo) avvalorava la sua richiesta di non soffrire più. Punito nel momento della morte, mentre si assolvono anche i peggiori criminali. Proprio lui, disconosciuto da chi parla di amore perché voleva semplicemente smettere di subire le torture atroci che gli ha riservato la vita e una legge per tutti gli italiani.

Tutti amiamo la vita fin dove è vivibile. Vorrei capire da dove vengono quegli ipocriti anatemi sull’eliminare le persone incapaci, anziane. Discorsi vuoti che non prendono in considerazione il dramma e il vissuto del prossimo, fanno propaganda in maniera vile ed egoista. Non considerano il numero dei suicidi e delle eutanasie clandestine. Dove sono quelli che parlano di cultura dello scarto, di persone usa e getta quando un malato soffre? Di sicuro non accanto a loro, ma nelle proprie belle case o su uno yacht. Così come non c’è lo Stato, il primo ad abbandonare queste persone e le loro famiglie, non mettendole in condizioni di beneficiare dei sussidi necessari, e di una vita affrontabile con dignità. Chiediamo solo che a queste persone non venga tolta, oltre alla dignità, anche il diritto umano alla libertà.

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