I frutti dell’incontro di ieri pomeriggio in Vaticano fra papa Francesco e Volodymyr Zelensky, se ci saranno, si vedranno nelle prossime settimane o nei prossimi mesi. Del più importante fra gli appuntamenti romani del presidente ucraino – quaranta minuti di colloquio con il papa e mezz’ora con monsignor Paul Gallagher, il “ministro degli esteri” della Santa sede – sono infatti emerse due narrazioni piuttosto diverse, che evidenziano posizioni decisamente distanti, quasi inconciliabili.

I TEMI DEL COLLOQUIO fra Bergoglio e Zelensky «sono riferibili alla situazione umanitaria e politica dell’Ucraina provocata dalla guerra in corso», ha fatto sapere una comunicazione ai giornalisti della sala stampa vaticana, diffusa pochi minuti dopo che il presidente ucraino aveva lasciato il Vaticano.

«Il papa ha assicurato la sua preghiera costante, testimoniata dai suoi tanti appelli pubblici e dall’invocazione continua al Signore per la pace, fin dal febbraio dello scorso anno – ha aggiunto la nota -. Entrambi hanno convenuto sulla necessità di continuare gli sforzi umanitari a sostegno della popolazione. Il papa ha sottolineato in particolare la necessità urgente di gesti di umanità nei confronti delle persone più fragili, vittime innocenti del conflitto».

Nell’incontro con Gallagher – il cardinale segretario di stato Pietro Parolin non c’era perché si trovava a Fatima per l’anniversario delle apparizione mariane – si è parlato soprattutto della guerra in Ucraina, delle «urgenze collegate ad essa, in particolare quelle di natura umanitaria», e della «necessità di continuare gli sforzi per raggiungere la pace», ha informato il comunicato ufficiale vaticano . Ma anche di «alcune questioni bilaterali, relative soprattutto alla vita della Chiesa cattolica nel Paese».

DIVERSA LA RICOSTRUZIONE di Zelensky, affidata al proprio profilo Twitter: «Ho incontrato papa Francesco. Gli sono grato per la sua personale attenzione alla tragedia di milioni di ucraini, ha anche sottolineato le decine di migliaia di bambini deportati: dobbiamo fare ogni sforzo per riportarli a casa. Inoltre, gli ho chiesto di condannare i crimini russi in Ucraina, perché non ci può essere uguaglianza tra la vittima e l’aggressore.

Ho anche parlato della nostra formula di pace come unico algoritmo efficace per raggiungere una pace giusta». Poi in serata, intervenendo in diretta a un’edizione speciale di Porta a porta condotta da Bruno Vespa dalla terrazza del Vittoriano, il presidente ucraino è stato ancora più esplicito: «Per me è stato un onore incontrare sua santità, però lui conosce la mia posizione: la guerra è in Ucraina, quindi il piano di pace deve essere dell’Ucraina.

Siamo molto interessati a coinvolgere il Vaticano nella nostra formula di pace». E ancora: «Con tutto il rispetto per il papa, noi non abbiamo bisogno di un mediatore fra Ucraina e uno Stato aggressore. Non si può fare una mediazione con Putin. Vogliamo una pace giusta per l’Ucraina, quindi invitiamo il pontefice a lavorare al nostro piano».

POSIZIONI DISTANTI, quindi, che sono emerse anche nel tradizionale scambio dei doni: una scultura in rame che rappresenta un ramoscello d’ulivo e alcuni testi sulla pace e sulla fratellanza umana da parte del papa, un’icona della Madonna dipinta sulla piastra di un giubbotto antiproiettile da parte di Zelensky.

E soprattutto che sono evidenti nei diversi piani di pace: quello ucraino, in dieci punti, che prevede fra l’altro il ritorno ai confini del 1991; e quello della Santa sede (presentato nel settembre 2022 all’Accademia pontificia delle scienze), in sette punti, che invece immagina una sorta di status speciale per la Crimea e l’autonomia (all’interno dell’Ucraina) delle regioni di Lugansk e Donetsk. La via per la pace non sembra proprio passare per il Vaticano. Almeno per il momento.