Alla fine dello scorso anno i governi ungherese e polacco hanno posto il veto al bilancio pluriennale Ue 2021-2027 comprendente i 750 miliardi di euro di Recovery Fund. Motivo: il rifiuto della condizionalità sul rispetto dello Stato di diritto. Nell’accordo raggiunto successivamente con la mediazione della presidenza di turno tedesca le parti hanno solo preso tempo: il problema del rispetto dello Stato di diritto nei due paesi, che sono sempre nel mirino dell’Articolo 7, persiste. In Ungheria le strutture sanitarie sono messe a dura prova dal Covid-19 e il tasso di mortalità è molto elevato. I fondi per i paesi membri colpiti dal virus sono una risorsa importante che però presenta dei problemi di gestione come nel caso ungherese. Ne parliamo con András Vértes, presidente del GKI (Gazdaságkutató Zrt.), Società di Ricerche Economiche di Budapest.

Che intenzioni ha il governo ungherese per ciò che riguarda l’uso del Recovery Fund?

In una conferenza svoltasi di recente, un rappresentante del governo ungherese ha indicato a quali programmi di spesa il governo destinerebbe i fondi dell’Ue e con quali percentuali per ciascuna voce, anche se va detto che non c’è ancora un accordo con l’Ue. In generale alla politica di coesione va il 39% del totale, cioè 23 miliardi di euro. 12,3 miliardi alla politica agricola comune, 17 all’Rrf (Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza). Complessivamente, con le voci minori, si giunge a 57 miliardi di euro. Al momento si sa che qui le risorse dell’Rrf dovrebbero concentrarsi su 3 principali aree: sviluppo universitario 21%; sanità 22%, comprendendo la costruzione di un nuovo grande ospedale a Budapest, e il 24% verrebbe destinato alla realizzazione di un sistema di trasporto sostenibile ed ecologico. Inoltre, per l’Ungheria il governo pensa di investire nei seguenti settori: energia (7,3%), demografia e pubblica istruzione (6,3%), digitalizzazione (6,2%), gestione delle risorse idriche (4,9%), economia circolare (4,9%), recupero e sviluppo di centri abitati svantaggiati (3,4%). Neanche su questi punti, però, sono state prese decisioni definitive e non ci sono informazioni dettagliate.

Sembra che all’esecutivo non piaccia l’idea di confrontarsi con le opposizioni.

Di recente il governo ha presentato una bozza di 432 pagine del piano per la Ripresa e la Resilienza, ma purtroppo non ha aperto alcuna discussione. Su richiesta dell’opposizione, la bozza è stata dibattuta in Parlamento, ma è materialmente impossibile discutere un documento di 432 pagine in un giorno. La Camera di Commercio e le organizzazioni imprenditoriali interessate non hanno ricevuto alcuna informazione sul motivo per cui determinati obiettivi sono stati inclusi nella bozza. I dirigenti dell’Associazione ungherese degli economisti (Mkt hanno inviate proposte al governo di loro iniziativa, ma finora non hanno ricevuto risposte.

In quali settori occorrerebbe investire in Ungheria?

Abbiamo bisogno di uno stato equo, orientato ai servizi e digitale. Il livello di corruzione è alto. Non esistono quasi istituzioni fiscali indipendenti come la Wifo in Austria e la Cpb nei Paesi Bassi. Un terzo degli studenti universitari e delle superiori non consegue il titolo finale. A mio parere bisogna investire in questo campo. Occorre garantire un alto livello di istruzione sin dai primi anni di scuola. Bisogna investire nel capitale umano, nell’assistenza sanitaria, che attualmente è in una situazione critica; basti pensare che siamo secondi al mondo in termini di tasso di mortalità dovuto al virus. All’inizio il primo ministro voleva copiare l’Austria, ma qui da noi è morto il doppio delle persone che in quel paese.

Il governo Orbán sostiene da anni di aver rilanciato l’economia e attribuisce questo merito soprattutto a sé stesso più che al sostegno che riceve dall’Ue. Ma qual è la realtà?

Premetto che la società ungherese è filoeuropea. Qui molte persone dicono che varrebbe la pena di continuare a essere dentro l’Ue anche se si dovesse pagare per questo. Direi che alla maggior parte degli economisti manca un ragionevole consenso politico. La Repubblica Ceca ha 70 aziende che esportano con successo nel mondo, noi ne abbiamo 5-10. Se misuriamo le performance dell’economia ungherese in fiorini vediamo che c’è uno sviluppo visibile, ma se facciamo questa stima in euro o in dollari ci accorgiamo che non c’è una crescita reale. Il fiorino ungherese continua a deprezzarsi rispetto alle principali valute. Ogni ungherese se ne rende conto ogni volta che va all’estero e inizia a pagare in euro.