«Nelle riunioni di partito, Sergio Mattarella era l’unico che riusciva a zittirmi, togliendomi la parola allo scadere del tempo. È l’uomo delle regole». Ciriaco De Mita, ex presidente del Consiglio e leader democristiano, ha davanti il presidente della Repubblica. Da vecchio leader della sinistra Dc ne ha guidato i primi passi nella Balena bianca. Può dunque permettersi di averlo ospite come capo dello stato alla cerimonia per la conclusione della sua scuola di politica e prenderlo in contropiede con un discorso che demolisce la riforma costituzionale e la nuova legge elettorale. Un quarto di secolo fa, De Mita è stato anche presidente di una delle commissione bicamerali per le riforme costituzionali, che naufragò. Ottantasettenne, adesso fa il sindaco di Nusco.

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A Napoli, al mattino, Mattarella prende parte all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Suor Orsola Benincasa. Seduto in prima fila con il presidente della regione De Luca, il sindaco de Magistris e il presidente della Corte costituzionale Criscuolo – che si è occupato o si sta per occupare di entrambi – ascolta le lezioni del rettore D’Alessandro e del professor Frosini. Quest’ultimo uno dei costituzionalisti favorevoli al disegno riformatore del governo; Mattarella rompe il protocollo e prende la parola per ringraziare e invitare gli studenti a «formarsi uno spirito critico con lo studio, la cultura e la riflessione». Per le critiche bisognerà aspettare De Mita.

Nel frattempo in parlamento, a Roma, arriva in aula il disegno di legge Renzi-Boschi che riscrive oltre un terzo della Costituzione, passaggio finale della prima lettura. Alla camera per la discussione generale si presentano pochissimi deputati, alla fine meno di dieci. Non c’è il pathos del senato, è passato il principio che non si possono mettere in discussione gli articoli già votati dall’altro ramo. In ogni caso la maggioranza ha i numeri per chiudere l’11 gennaio, quando ci sarà il voto finale.

Nell’attesa, si è già formato il comitato del No al referendum confermativo (previsto nell’autunno 2016) e ieri il suo presidente, il costituzionalista Alessandro Pace, ha diffuso una lettera ai (distratti) deputati, in cui riepiloga le ragioni di opposizione alla riforma. Si va dalla scarsa legittimazione di questo parlamento a cambiare la Costituzione (dopo la bocciatura della Consulta della legge che lo ha eletto) alla «disomogeneità» della riforma, che costringerà i cittadini a «prendere o lasciare», nel referendum, dalla violazione della sovranità popolare attraverso la negazione dell’elezione diretta per i nuovi senatori, allo «spostamento dell’asse istituzionale in favore del governo»; o meglio del presidente del Consiglio che «sarà dominus dell’agenda parlamentare».

Argomenti che Mattarella – giurista ed ex giudice della Corte costituzionale – conosce bene, non fosse altro perché ha ricevuto al Quirinale il Coordinamento che ha costituito il comitato del No. A ricordarglieli ci pensa comunque De Mita. Che critica l’abolizione dell’elezione diretta dei senatori – «chi è votato assume un impegno, oggi i politici si immaginano legittimati dal ruolo» -, confessa «inquietudine» per la riforma costituzionale – «se non sopravvive la partecipazione potremmo scoprire che la democrazia è stata solo una stagione»; critica il merito delle innovazioni – «non c’è stata cautela per l’equilibrio tra i poteri, e chi rompe un ingranaggio rompe tutto l’orologio» – e anche il metodo renziano – «quando nella discussione ad argomento non si contrappone argomento ma la forza dei numeri, mi prende il terrore per lo stato della democrazia».

E non basta, perché si aggiunge alla requisitoria un altro cattolico di primo piano, l’ex presidente della Consulta Casavola. Che nelle riforme vede una minaccia alla rappresentatività, mortificata dal «frequente richiamo alla disciplina nei gruppi parlamentari» oltre che dall’«incerta conoscenza dei candidati» da parte degli elettori e dall’«imposizione delle liste da parte delle segreterie dei partiti».

Mattarella ascolta, sceglie di non prendere la parola, ma a cerimonia conclusa lo vediamo avvicinare De Mita. Al quale dunque chiediamo come l’ha presa, il presidente. De Mita è un maestro delle non risposte: «Cosa vuole, io parlavo in nome delle nostre antiche voci». Adesso è il tempo dei silenzi.