La formazione di un nuovo governo sudanese sarebbe imminente. Sono stati i militari, autori del colpo di stato a Khartoum, ad annunciarlo ieri con l’intento evidente di placare proteste e preoccupazioni all’interno e all’esterno del paese. Gli interrogativi sono tanti in queste ore. Sarà un governo civile, militare o misto? Non è da escludere del tutto, anche se appare remota, l’ipotesi di un esecutivo solo tecnico, senza partiti politici. Le indiscrezioni che circolavano ieri non davano ancora risposte definitive. «Stiamo considerando tutte le iniziative interne ed esterne per servire l’interesse nazionale, la formazione del governo è imminente», si è limitato a riferire alla tv del Sudan, Taher Abouhaga, consulente per i media del generale Abdel Fattah al Burhan che il 25 ottobre ha sciolto il governo di transizione del premier Abdalla Hamdok – posto agli arresti domiciliari – e dichiarato lo stato di emergenza.

Usa ed Europa chiedono, ma insistono più di tanto, il ritorno di Hamdok. L’Arabia Saudita e gli Emirati – che dietro le quinte appoggiano i militari golpisti – sollecitano la restaurazione di un governo a guida civile. L’Egitto guarda con favore al golpe, simile a quello attuato nel 2013 da Abdel Fattah el Sisi al Cairo. Israele, che ha mandato funzionari del Mossad a Khartoum dopo il colpo di stato, si preoccupa solo che il Sudan, golpista o democratico che sia, non esca dall’Accordo di Abramo siglato un anno fa che ha normalizzato le relazioni tra i due paesi. Una sola cosa è certa. Al Burhan sa che il Sudan riceverà gli aiuti internazionali solo se darà garanzie sul proseguimento della transizione politica cominciata due anni fa con la rimozione dal potere di Omar Al Bashir. Altrimenti resterà isolato e lui, in cambio della stabilità interna dovrà dare spazio e poteri agli ex apparati di Al Bashir mentre in politica estera non potrà far altro che rivolgersi a cinesi e russi per assicurarsi le risorse e gli investimenti di cui ha bisogno il paese.

La tv qatariota Al Jazeera riferiva ieri di una «intesa quasi chiusa» per un nuovo power sharing tra civili e militari ma con rapporti di forza più favorevoli ai rappresentanti delle Forze armate. La spaccatura è profonda. «Ci siamo seduti con tutti gli attori delle due parti, militare e civile, ci siamo assicurati un consenso iniziale per colloqui, ma rimangono degli ostacoli», ha spiegato un anonimo mediatore alla stampa locale aggiungendo che le trattative per superare la crisi coinvolgono figure di spicco della società sudanese quali accademici, giornalisti, attivisti e imprenditori. Sullo sfondo continuano le proteste popolari contro l’atto di forza dei militari che sfoceranno in nuove manifestazioni di massa come quelle di sabato scorso. Il Resistance Committee conferma una mobilitazione per il 7 novembre e una marcia il 10 novembre con la partecipazione di un milione di persone. Nel frattempo, scioperano medici, avvocati e altre categorie professionali.