I negozi hanno riaperto, lungo le strade sono riapparsi i trasporti pubblici e le file di fronte alle banche. Le città del Sudan, a partire dalla capitale Khartoum, hanno interrotto tre giorni di disobbedienza civile e sciopero generale, indetti lo scorso sabato dopo il massacro di lunedì 3 giugno: 118 manifestanti uccisi (è l’ultimo bilancio dell’associazione dei medici, parte del fronte delle opposizioni) da esercito e paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf).

La protesta, che aveva di fatto paralizzato il paese, è stata sospesa dopo l’impegno della giunta militare a riprendere i negoziati con le opposizioni. Per strada restano però le pattuglie delle Rsf, i già tristemente noti pickup armati. E di certo c’è poco. Non ci sono date per la ripresa del dialogo né conferme sul suo contenuto, se sul tavolo tornerà quanto sembrava archiviato il mese scorso e poi saltato: governo civile, tre anni di transizione prima del voto e un parlamento per due terzi controllato dalle opposizioni.

Né è chiaro se le richieste dei civili saranno accolte: inchiesta sul massacro e assunzione di responsabilità da parte della giunta. Ci sarebbe però l’impegno a liberare i prigionieri politici. A dare la notizia di questa promessa e dell’interruzione della disobbedienza civile è stato ieri Mahmoud Dirir, l’inviato del premier etiope Ahmed che venerdì era volato a Khartoum per mediare tra il Consiglio militare di transizione (Tmc) e la coalizione delle Forze per la libertà e il cambiamento (Ffc).

Solo 24 ore prima, martedì, in Darfur le Rsf avevano attaccato il villaggio di Dilig, uccidendo – secondo l’Fcc – 9 persone e dando fuoco a negozi e case. Una punizione in perfetto stile Janjaweed per l’adesione della comunità allo sciopero. Che, nonostante i dubbi sull’effettivo negoziato, è considerata da molti attivisti la dimostrazione della capacità dei manifestanti di piegare la giunta militare.

Riprova sarebbe, dicono fonti delle opposizioni al Sudan tribune, l’impegno preso dal Tmc con Dirir (ma non confermato dalla giunta): la rinuncia dei militari alla presidenza del futuro governo. Le Ffc restano in guardia e invitano i comitati di quartiere a tenersi pronti a una ripresa dello sciopero.