Il pugno di ferro di esercito e forze di sicurezza si è abbattuto ancora una volta sui sudanesi che protestano contro il golpe del 25 ottobre. Almeno un manifestante ieri è stato ucciso e decine di altri sono stati feriti durante le manifestazioni organizzate a Khartoum dalla società civile e dalle forze politiche dell’opposizione nel terzo anniversario della sollevazione popolare che nel 2019 portò alla caduta di Omar al Bashir. L’ucciso è un 28enne, Majzoub Mohammad Ahmad, centrato da un proiettile in pieno petto nella zona di Sharg al Nile. I militari hanno prima lanciato gas lacrimogeni, poi hanno aperto il fuoco con munizioni vere contro decine di migliaia di persone radunate davanti al palazzo presidenziale nella capitale. «Il popolo vuole la caduta di Burhan», hanno scandito i dimostranti contro il generale Abdel Fattah al Burhan, che ha guidato il colpo di stato. Alcuni manifestanti a un certo punto sono riusciti ad entrare nell’edificio, prima di fuggire per l’intervento delle guardie di sicurezza.

Le misure prese dai militari – che hanno schierato forze di intervento rapido -, come la chiusura di ponti e delle strade principali a Khartoum, e gli arresti preventivi di attivisti non sono riuscite ad impedire queste nuove proteste di massa. Tanti manifestanti hanno viaggiato o camminato per giorni da diverse parti del paese, come gli Stati di Gezira e Sennar nel Sudan centrale, El Obeid nell’ovest e la città di Atbara nello stato del fiume Nilo, pur di raggiungere Khartoum. Nell’esercito e nella polizia non tutti appoggiano la linea del pugno di ferro scelta dai comandi militari e che il premier Abdalla Hamdok, prima destituito e poi rimesso al suo posto sulla base dell’accordo raggiunto il 21 novembre con Al Burhan, riesce a limitare solo in parte. Testimoni hanno riferito di aver visto soldati e poliziotti aprire gli sbarramenti e alcuni dei ponti che collegano le città gemelle di Khartoum e Omdurman per lasciar passare i cortei. «Abbiamo lanciato slogan molto chiari e radicali, non ci sarà collaborazione con l’esercito, nessun compromesso e nessun negoziato, ci opporremo per sempre al governo militare», ha detto un giovane al portale Middle East Eye.

La protesta popolare intanto comincia a produrre i primi risultati. Hamdok starebbe cercando di convincere i militari a tenere elezioni anticipate il prossimo anno, e non più nel 2023, per mettere fine alla crisi causata dal colpo di stato.