Sanzioni e ancora sanzioni, senza escludere il comparto gas e petrolio ma rimandando ancora su questo eventuali decisioni. Tanto per fermare la guerra ci vuole ben altro, lascia intendere Josep Borrell tra le dichiarazioni rilasciate ieri a margine del Consiglio affari esteri di Lussemburgo.

PAROLE CHE SEGUONO quelle del giorno prima – tra le meno diplomatiche che il capo della diplomazia europea abbia pronunciato fin qui – sulla guerra «che sarà vinta sul campo» e l’impegno a esaudire la «lista delle armi richieste da Kiev». Non è il caso di farsi illusioni, dice Borrell: «Se anche tagliassimo ora il gas le forze russe avrebbero comunque i mezzi per combattere le battaglie dei prossimi giorni e delle prossime settimane. Bisogna concentrarsi – ha aggiunto – sugli aspetti difensivi».

Ovvero le armi. Per la cui consegna in realtà il fattore tempo dovrebbe essere altrettanto rilevante, con la probabile battaglia finale sul fronte orientale ormai più che alle porte. Esprimendo massima preoccupazione per quanto avverrà «nei prossimi giorni», anche la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock non ha mostrato cedimenti: «Subito le armi che servono all’Ucraina per difendersi. Armi pesanti» ha precisato, nelle stesse ore in cui i pacifisti a Berlino inscenavano una protesta davanti al Reichstag contro l’annunciato acquisto di nuovi caccia con capacità nucleari da parte della Germania.

QUANTO ALLE ARMI attualmente sul campo, Mosca sostiene di aver distrutto in un hangar di Dnipro quattro sistemi anti-missile S-300 forniti da un paese europeo non meglio specificato. La Slovacchia, che in precedenza non aveva fatto mistero della donazione, smentisce. Mentre il ministro della Difesa Jaroslav Nad’ conferma l’invio di ulteriori aiuti militari a Kiev.

Iniziativa diplomatica del giorno resta dunque quella del cancelliere austriaco Karl Nehammer, che forte della neutralità costituzionale di Vienna, membro Ue ma non Nato, è arrivato a Mosca via Ucraina per un colloquio con Vladimir Putin durato circa 90 minuti. «Non è stato un incontro amichevole» ma uno scambio «duro e diretto», ha precisato al termine Nehammer, che avrebbe insistito con il presidente russo sui «gravi crimini di guerra a Bucha» e la necessità che i responsabili vengano puniti. Per il resto, malgrado le enormi divergenze, «non ci sono alternative alla ricerca di colloqui diretti con la Russia». Putin, ha aggiunto Nehammer, che riferirà ai partner europei valutando i prossimi passi, considera «il processo di Istanbul l’unico formato possibile per un dialogo tra le parti».

NELLA TRISTE SCANSIONE quotidiana delle atrocità rivelate e puntualmente negate da Mosca, il presidente ucraino Zelensky intervenendo al parlamento sud-coreano ha stimato in «decine di migliaia» i morti a Mariupol. Il ministero della Difesa russo invece prova per una volta a giocare d’anticipo, denunciando l’arrivo di «nuove provocazioni orchestrate dal regime di Kiev sotto la direzione dei servizi britannici». Saranno ancora «accuse – dice Mosca – alle forze armate della Federazione russa di trattamento disumano della popolazione ucraina nella regione di Sumy».

Ma i motivi di preoccupazione per la Russia si addensano ai suoi confini occidentali: il fermento anti-russo cresce nei paesi baltici, con la richiesta della Lituania di ampliare la presenza della Nato, mentre in due bastioni della neutralità come Svezia e Finlandia, l’adesione all’Alleanza atlantica non è più tabù e anzi è quasi realtà (entro l’estate, sostiene il Times). «L’espansione della Nato non porterà stabilità e sicurezza all’Europa», ha tagliato corto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.

GLI STATI UNITI SEGUONO con interesse questo processo. E il presidente Biden, che c’è da scommetterci segue con attenzione anche gli sviluppi della situazione in Pakistan dopo la sfiducia a Imran Khan, ieri sera ha provato a ricondurre alla ragione, secondo il suo punto di vista, l’India di Narendra Modi. La crisi ucraina era riuscita infatti a mettere d’accordo per una volta India e Pakistan, al fianco della Russia.

La guerra intanto ha provocato «una crisi umanitaria di proporzioni immense ma ha anche inferto un duro colpo all’economia globale», come osserva l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), rivedendo al ribasso di circa un punto percentuale le stime di crescita del Pil globale nel 2022.