L’accordo alla fine è stato trovato, ma non è andato nella direzione che la sinistra e larga parte del movimento femminista avevano auspicato. E così, a Strasburgo, Consiglio e Parlamento con la supervisione della Commissione – riuniti nel cosiddetto Trilogo – hanno stabilito che non sarà il consenso il pilastro per una definizione giuridica comune del reato di violenza sessuale. Viene inserita per volontà degli europarlamentari una raccomandazione perché nei 27 Paesi dell’Unione si inviti alla consapevolezza, sul piano educativo, che il sesso senza consenso è un reato e viene anche aggiunta la richiesta di revisione della legge entro i prossimi cinque anni.

TROPPO POCO per la corelatrice socialista, l’europarlamentare svedese Evin Incir, che insieme alla collega irlandese Frances Fitzgerald, popolare, si dice «delusa» su questo punto e invita già a «preparare una legislazione migliore in futuro». L’iter del regolamento sulla violenza contro le donne è stato piuttosto travagliato. Lanciato dalla Commissione Ue l’8 marzo 2022, avversato in un lungo percorso a ostacoli non solo delle destre europee ma anche da Stati importanti, come Ungheria, Polonia, Paesi Bassi, Germania e soprattutto Francia, sia per ragioni formali che sostanziali che riguardano proprio la natura giuridica del termine «consenso». Lo scorso primo febbraio, il responsabile della Giustizia del governo Attal, Eric Dupont-Moretti, in audizione al Senato francese ha fornito la propria versione rispetto alla controversia. Il reato di stupro a livello Ue, ha avvertito, si presterebbe a ricorsi alla corte di Giustizia dato che la materia non è di competenza comunitaria, con il rischio di annullamento dell’intero provvedimento. Ma soprattutto, ha spiegato, l’aggiunta della nozione di consenso potrebbe portare a «contrattualizzare le relazioni sessuali», attribuendo a suo avviso parte della responsabilità alla vittima stessa.

È VERO anche che la legge prevede per la prima volta norme comuni contro le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni forzati, regole specifiche per i reati online, compresa la diffusione di materiale privato e l’invio di immagini intime, oltre che procedure per tutelare la sicurezza e la salute delle vittime. Ma dalla parte politica, le reazioni parlano di «occasione sprecata». Duro il commento della dem Pina Picierno, vicepresidente dell’Eurocamera che definisce quella di ieri una «giornata triste per le politiche di genere e per i diritti. La direttiva europea contro la violenza sulle donne – scrive in una nota – esce dall’ultimo giro di negoziati con una versione ridimensionata e indebolita rispetto al testo varato nel 2022 dalla Commissione e poi rafforzata dal Parlamento Europeo». Critiche anche da parte di Amnesty International Europe: «Apprezziamo il riconoscimento della discriminazione intersezionale ma è clamorosa l’omissione, nell’articolo 35, di gruppi che rischiano più di altri di subire violenza di genere, come le donne Lgbtqia+, le donne in condizione di irregolarità e quelle che svolgono lavoro sessuale».

È ANCORA PICIERNO a puntare il dito contro il fatto che «oltre alla mancata armonizzazione del reato di stupro anche i reati di violenza online escono ridimensionati». Spetterà agli Stati membri, nelle loro legislazioni, poterli rendere più stringenti. Da qui l’invito che l’eurodeputata Incir, durante la conferenza stampa tenuta al raggiungimento dell’accordo, ha rivolto a Giorgia Meloni perché agisca a livello nazionale «dato che ha detto di volerlo fare». Quello raggiunto ieri a Strasburgo è in realtà un accordo politico, che andrà poi confermato nelle prossime settimane sia dall’Eurocamera che dal Consiglio in rappresentanza degli Stati europei. Ma bisogna considerare come l’urgenza di arrivare a un compromesso, per quanto al ribasso, è determinata anche da un fattore tecnico. Se così non fosse stato, il calendario istituzionale avrebbe previsto lo slittamento a dopo le elezioni europee, quando a farsene carico sarebbe stata l’iniziativa politica di Budapest, che prenderà la presidenza rotante del Consiglio Ue per un semestre a partire dal primo luglio. E come ha precisato ancora Incir: «Ci sono Paesi che questa legge non la volevano nemmeno. Ad esempio, l’Ungheria».