Da ieri in Burkina Faso è stato decretato un lutto nazionale di 3 giorni dopo l’attacco di domenica contro un distaccamento della gendarmeria della cittadina di Inata – nell’area denominata dei “tre confini” (tra Mali, Niger, Burkina Faso) – che ha causato, il bilancio è ancora provvisorio, la morte di almeno 32 persone.

«Dobbiamo restare uniti e determinati di fronte alle forze del male che ci impongono una guerra spietata», ha scritto questo lunedì sul suo account Twitter il presidente Roch Marc Christian Kaboré.

L’attacco di domenica è l’ultimo di una situazione ormai «fuori controllo», secondo la stampa burkinabé, dopo quello dello scorso venerdì, dove 7 agenti di polizia sono stati uccisi nella zona di Alkoma.
Il clima di continua insicurezza per la popolazione civile ha causato nel solo 2021 oltre 300 vittime che si aggiungono alle 4mila dall’inizio dell’insurrezione jihadista, nel 2015, e ha costretto 1,4 milioni di persone ad abbandonare le proprie case in tutta la vasta zona dei “tre confini”, dove imperversano i due gruppi jihadisti presenti nell’area: il Gruppo di Sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim), affiliato ad al-Qaeda, e lo Stato Islamico del Gran Sahara (Eigs).
Attentati di matrice jihadista che insieme alle violenze intercomunitarie stanno causando forti proteste da parte della popolazione per «l’inadeguatezza del governo». La scorsa settimana Eddie Komboigo, leader del principale partito di opposizione, ha richiesto «le dimissioni immediate» del presidente Kaboré. (s.ma.)