Le autorità libiche facciano luce sulle morte di 15 migranti avvenuta venerdì scorso al largo di Sabrata. A chiederlo, in tre interventi diversi, sono l’Onu, l’Unione europea e gli Stati uniti dopo l’arresto di cinque etiopi ritenuti in possesso di informazioni utili. «Chiediamo alle autorità libiche di indagare prontamente su questo orribile attacco, perseguire i criminali coinvolti e intensificare gli sforzi per combattere la tratta di esseri umani» è scritto in un comunicato dell’ambasciata Usa a Tripoli.

Quindici corpi carbonizzati sono per ora l’unica cosa certa di quanto è realmente accaduto il 7 ottobre al largo di Sabrata. Secondo l’ipotesi al momento più accredita i migranti potrebbero essere le vittime di uno scontro a fuoco tra bande criminali che si contendono il traffico di uomini in Libia.

Nessun dubbio, invece, sul fatto che chi ha preso di mira il barcone lo ha fatto con lo scopo non di fermarlo, ma di uccidere quanti si trovavano a bordo. Secondo il sito libico Sabrata Online il barcone sarebbe stato colpito da alcuni razzi Rpg. In un video diffuso poco dopo l’attacco, si vede l’imbarcazione avvolta dalle fiamme e i cadaveri carbonizzati sia al suo interno che in mare. Stando invece a quanto affermato da Ahmed Abdel Hakim Hamza, del Comitato nazionale per i diritti umani della Libia «i trafficanti hanno sparato sulla barca provocando la morte dei migranti. Poi hanno dato fuoco alla barca piena dei corpi delle vittime». Hamza ha anche specificato che all’origine della tragedia ci sarebbe «una lite tra trafficanti».

Va detto che quella dello scontro tra bande è solo una delle ipotesi all’esame. Gli inquirenti non escludono infatti che la strage possa essere stata decisa per punire i migranti, colpevoli per aver organizzato in proprio la fuga in mare a bordo di un barcone.

Comunque sia quanto accaduto ha provocato una serie di reazioni e condanne sia nel Paese nordafricano che a livello internazionale. La Municipalità di Sabrata ha parlato di «comportamento religiosamente, legalmente e moralmente proibito che merita il perseguimento e la condanna dei suoi autori», mentre la missione delle Nazioni unite in Libia, Unsmil, ha chiesto al governo di Tripoli di «garantire un’indagine rapida, indipendente e trasparente». «Questo attacco – ha proseguito Unsmil – è un chiaro promemoria della mancanza di protezione che migranti e richiedenti asilo devono affrontare in Libia». Indagini veloci e indipendenti è quanto ha chiesto anche l’ambasciatore Ue in Libia Josè Sabadelli, che ha espresso solidarietà alle famiglie delle vittime.

L’Italia potrebbe avere a breve l’occasione per dare un segnale contro la continua violazione di diritti umani dei migranti in Libia. Il prossimo 2 novembre scadono infatti i tempi per cancellare il Memorandum di intesa tra Italia e Libia firmato nel 2017 dall’allora premier Paolo Gentiloni e dall’omologo libico Fayez Serraj. Impresa pressoché impossibile vista la dichiarata volontà del centrodestra di rafforzare la collaborazione con la Libia per fermare le partenze dei migranti.