L’Italia ha sospeso il rilascio di nuove licenze di esportazione di armi e sistemi militari a Israele. La decisione sarebbe stata assunta da parte di Uama, l’Autorità nazionale incardinata presso il ministero degli Esteri preposta al rilascio delle licenze, circa una settimana dopo l’intervento militare delle forze armate israeliane nella Striscia di Gaza. Stando alle informazioni diffuse – non risulta al momento una nota ufficiale di Uama – si sarebbe trattato di un «atto dovuto» in ottemperanza della Legge 185 del 1990 che vieta l’esportazione di materiali di armamento «verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere».

Una decisione positiva, ma non sufficiente. La sospensione riguarderebbe, infatti, solo eventuali nuove licenze all’esportazione, non quelle già rilasciate negli anni precedenti e tuttora in corso. Per sospendere o revocare le autorizzazioni già rilasciate negli anni scorsi è infatti necessario un «decreto del Ministero degli affari esteri sentito il Cisd», il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa. E, al momento, non risulta che alcun decreto sia stato emesso.

Con un messaggio via twitter (oggi X) il ministro Crosetto è intervenuto spiegando che fino al 7 ottobre «nel 2023 erano state approvate 21 licenze (di esportazioni di materiali militari a Israele) per 9,9 milioni di euro quasi tutti parti di sistemi di comunicazione». Nello stesso tweet Crosetto, in polemica con l’ex primo ministro Giuseppe Conte, riporta i valori delle licenze di esportazione di materiali militari a Israele rilasciati negli anni scorsi: 9 milioni di euro nel 2022; 12 milioni nel 2021; 21 milioni nel 2020 (governo Conte 2) e 28 milioni nel 2019 (governo Conte 1).

I dati pubblici accessibili nel database del commercio estero dell’Istat riportano però un’altra immagine. Tra il 2019 e il 2022 le esportazioni di «armi e munizioni», sia di tipo militare che di tipo comune, cioè dirette all’utilizzo da parte dei civili, verso Israele superano i 52 milioni di euro: tra queste esportazioni sono comprese quelle per «bombe, granate, siluri, missili, cartucce e altre munizioni» di tipo militare. Considerando che le esportazioni di «armi e munizioni di tipo comune» non superano le centinaia di migliaia di euro all’anno, si tratta in gran parte proprio di armi e munizioni di tipo militare.

Quest’anno tra gennaio e giugno sono stati esportati a Israele più di 11 milioni di armi e munizioni soprattutto di tipo militare. Un’indicazione ulteriore che si tratti di armi e munizioni di tipo militare – e non di tipo «comune» – viene dalle province di esportazione tra cui primeggia con oltre 8,5 milioni di euro la provincia di Roma, sede di storiche aziende a produzione militare.

La sezione della Relazione del 2023 sulle esportazioni di materiali militari curata dal ministero dell’Economia e delle finanze (dipartimento del Tesoro) segnala inoltre un pagamento ricevuto dall’azienda Rwm Italia nel 2022 da parte di Israele del valore di 899.225 euro: come noto, la Rwm Italia produce principalmente bombe.

Se dunque il governo vuole davvero prevenire l’utilizzo da parte di Israele di materiali militari prodotti in Italia non può limitarsi a sospendere solo le nuove licenze, ma dovrebbe estendere la sospensione a tutte le licenze rilasciate negli ultimi anni soprattutto per quei materiali militari – come bombe, razzi missili e proiettili – che potrebbero essere utilizzati dalle forze armate israeliane per commettere crimini di guerra e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario.

* Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa – Opal