Stiglitz a Biden: «Scongelare» i nove miliardi degli afghani

Destinatari sono il presidente degli Stati uniti, Joe Biden e la Segretaria del Tesoro Usa, Janet Yellen. Mittenti, 71 tra economisti e accademici, da Stati uniti, India, Regno Unito, Germania. Promotore, il think tank con sede a Washington Center for Economic and Policy Research.
Oggetto, gli assett in valuta estera di Da Afghanistan Bank (Dab), la Banca centrale afghana. Da molto mesi, a causa delle sanzioni e delle decisioni di alcuni governi occidentali – tra cui quello Usa –, Dab è isolata dal sistema finanziario internazionale e non può accedere ai propri fondi in valuta estera, circa 9 miliardi, di cui 7 negli Stati uniti. Bloccati, quei fondi sono indispensabili per «fare in modo che l’economia afghana si avvii verso la ripresa». Così scrivono gli economisti, tra cui il premio Nobel per l’Economia, Joseph Stiglitz, e l’ex ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, per i quali «la popolazione afghana sta pagando doppiamente per un governo che non ha scelto».

Da ostaggio a testimonial: la parabola di Timothy Weeks

«Sono qui per celebrare il primo anniversario del governo dell’Emirato islamico. Sono stato tre anni e mezzo con i Talebani e nessuno ne ha la conoscenza che ne ho io». Sono le parole con cui Timothy Weeks, docente australiano poco più che cinquantenne, ha salutato i giornalisti arrivati ad accoglierlo all’aeroporto di Kabul, due giorni fa.
La sua è una storia unica: docente all’American University di Kabul, simbolo del soft power statunitense in Afghanistan, viene sequestrato nell’agosto 2016 insieme a un altro docente, Kevin King, 63 anni. Finisce nelle mani degli Haqqani e viene liberato nel novembre 2019 con uno scambio di prigionieri che serve a facilitare il dialogo diplomatico tra i Talebani e gli Stati uniti.
Nel febbraio 2020, quando viene firmato lo storico accordo per il ritiro delle truppe, a Doha c’è anche lui, fotografato insieme ad Anas Haqqani, liberato dalle carceri governative proprio grazie a quello scambio. Da ostaggio a testimonial, Timothy Weeks si è convertito all’Islam e ha preso il nome di Jibrail Omar.

Incontri, dibattiti, laboratori. A Roma «La sindrome del 15 agosto»

Dieci giorni di incontri, dibattiti e laboratori. Promossa dalla Scuola di Herat in esilio e organizzata dall’attivista culturale Morteza Khaleghi, “la sindrome del 15 agosto” è iniziata il 6 agosto e ha visto alternarsi a Roma momenti conviviali, discussioni politiche sull’esperienza migratoria e sulla situazione in Afghanistan, tavole rotonde con docenti, artisti/e ricercatori afghani. Tra loro Nazir Rahgozar, docente allo Institut National des Langues et Civilisations Orientales di Parigi (Inalco), l’artista Hamid Sultani, la ballerina Elahe Qaderi, il docente all’università di Herat, da poco in Italia, Sattar Farzam, il fotografo Reza Heidari Shahbida, che ha tenuto una lezione sulla storia della fotografia afghana.
L’ultimo appuntamento, spiega Morteza Khaleghi al manifesto, è previsto questa sera a Roma, alle 23.30 all’Arco di Costantino, punto di avvio «della nostra camminata notturna collettiva alla scoperta di monumenti, spazi, persone importanti per la comunità afghana a Roma».