L’ex direttore del comitato elettorale di Trump, Paul Manafort, è stato condannato dalla giudice Amy Berman Jackson del tribunale di Washington a 43 mesi di carcere per accuse inerenti al Russiagate, per le quali lui stesso Manafort si era dichiarato colpevole: cospirazione contro gli Stati uniti e ostruzione alla giustizia, per aver fornito informazioni false agli investigatori con cui collaborava.

Il reato di cospirazione riguarda i milioni di dollari guadagnati da Manafort come lobbista per politici ucraini legati all’ex governo filorusso di Viktor Yanukovych. In quel frangente, ha ammesso Manafort, aumentò la dichiarazione dei suoi introiti per avere più prestiti dalle banche, per poi depositare milioni di dollari in paradisi fiscali.

La scorsa settimana Manafort era stato condannato nel distretto della Virginia dal giudice conservatore Ellis a quasi quattro anni di carcere per frode bancaria e fiscale. Ora l’ex uomo di Trump dovrà scontare una pena complessiva di sette anni e sei mesi. «Mi dispiace per quello che ho fatto – ha dichiarato Manafort prima del verdetto – Tra qualche settimana compirò 70 anni, mia moglie ne ha 68 e ha bisogno di me, come io ho bisogno di lei, non divideteci».

La giudice Jackson ha ammesso la sincerità nelle affermazioni dell’imputato ma ha detto di essere stata colpita dalla mancanza di pentimento di Manafort e che dire «’mi dispiace di essere stato preso’ non è un invito alla cooperazione. Questo imputato non è un nemico pubblico, ma neanche una vittima, sapeva esattamente quello che stava facendo». Riguardo la questione se qualcuno nel comitato per la campagna elettorale di Trump abbia cospirato con il governo russo, la giudice ha detto di non poter dare una risposta sicura: l’investigazione non è finita e Manafort ha mentito agli investigatori proprio sui temi cuore dell’indagine.

Le condanne a Manafort, specialmente la prima riguardante le frodi, hanno riacceso un dibattito e evidenziato ancora la disparità di pena per reati analoghi a soggetti diversi. Per i reati di frode per il lobbista si parlava di una condanna fino a 27 anni: 3 anni e mezzo è sembrata una pena molto clemente.

Per i reati di evasione fiscale e frode bancaria la legge Usa suggerisce una pena da 19 a 24 anni, come stabilito dalle linee guida federali approvate dal Congresso del 1984; nel 2005, però, la corte suprema ha dato ragione ai conservatori che vedevano la norma come una limitazione del giudizio del giudice e le linee guida sono diventate «suggerimenti».

In un sistema di diritto come quello anglosassone che si basa sui precedenti, per un reato come la frode bancaria compiuto per lo più da dirigenti bianchi vengono date pene più miti. Il giudice Ellis ha detto di essersi attenuto alla tradizione e ha poi fatto una serie di dichiarazioni chiaramente politiche, definendo la vita di Manafort «senza biasimo» e parlando di un uomo che ha sfidato e violato la legge in tutti i modi possibili. Non solo si è reso responsabile di una serie di crimini ma, dopo essere stato incriminato, ha mentito sotto giuramento e minacciato altri testimoni per depistare le autorità federali.

Il caso Manafort è un caso di «giustizia bianca», razza e classe sociale. In questa luce non stupisce che la seconda pena sia stata, a parità di anni, più dura e significativa della prima.