Tre paesi europei riconoscono lo Stato di Palestina, altri due si preparano a farlo mentre Germania, Francia e Italia, pur con toni diversi, tirano il freno ma comunque si dicono favorevoli alla soluzione «due popoli due stati». Se poi l’Ue è divisa al suo interno (e di conseguenza Bruxelles tace), Israele appare sempre più isolato sul fronte diplomatico e reagisce nervosamente.

COME PREANNUNCIATO alcuni giorni fa, Irlanda e Spagna hanno annunciato il pieno riconoscimento dello Stato di Palestina entro i confini del 1967. A loro si è unita la Norvegia, mentre sia Slovenia che Malta hanno confermato che si preparano al riconoscimento (la prima specifica che avverrà a giugno).

Madrid e Dublino avevano già anticipato alcune settimane fa la loro mossa nel segno di un’azione che, in quanto coordinata tra due capitali Ue, poteva dimostrarsi più forte. In parlamento, il primo ministro Pedro Sánchez ha dichiarato tra gli applausi dei deputati di sinistra che «è giunto il momento di passare dalle parole ai fatti». «La Spagna approverà» formalmente «martedì 28 il riconoscimento dello Stato di Palestina», ha aggiunto il premier socialista, e lo farà «per la pace, la giustizia e per coerenza». Che «il riconoscimento sia la cosa giusta da fare» si è detto convinto anche il premier irlandese Simon Harris in una conferenza stampa a cui erano presente anche il ministro degli esteri Michael Martin, che parlando di «momento storico» ha rimarcato: «I palestinesi meritano il diritto all’autodeterminazione e alla statualità».

PER TUTTI E TRE I PAESI, la volontà è certificare l’esistenza di uno Stato di Palestina entro confini stabiliti prima della guerra dei sei giorni (1967), ovvero al momento dell’occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est da parte di Tel Aviv. «La delimitazione territoriale dovrebbe basarsi sulla linea di demarcazione dell’Accordo di Armistizio del 1949, con Gerusalemme come capitale condivisa», ha precisato il premier norvegese.

Durissima la reazione da parte israeliana, che richiama i propri diplomatici in Spagna, Irlanda, Norvegia e convoca a Tel Aviv i rappresentanti dei tre paesi «per consultazioni». Il ministro degli esteri Israel Katz ha spiegato su X di aver intrapreso «un’iniziativa severa» nei confronti dei tre paesi per aver assegnato «una medaglia d’oro ai terroristi di Hamas». Soprattutto, il premier Netanyahu ha affermato che un eventuale Stato di Palestina «sarebbe terrorista e potrebbe avanti il massacro del 7 ottobre all’infinito».

NEL CONTESTO di un crescente isolamento diplomatico di Israele, a suo supporto rimangano comunque gli Usa. La linea è che «uno Stato palestinese dovrebbe essere raggiunto attraverso negoziati diretti tra le parti, non attraverso un riconoscimento unilaterale», ha fatto sapere un portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale. Il 10 maggio l’Assemblea generale delle Nazioni unite aveva approvato una risoluzione che chiedeva il pieno riconoscimento della Palestina come Stato membro. 143 i voti a favore, ma tra i 9 contrari figurava proprio Washington (oltre, tra gli altri, Ungheria e Repubblica Ceca). Diversi paesi Ue erano tra i 25 astenuti, primi fra tutti Germania e Italia.

Per Berlino la posizione ufficiale, espressa da portavoce del governo, è che il riconoscimento da parte dei tre paesi europei non è la strada giusta per raggiungere lo scopo dei due Stati. La dialettica interna vede da un lato l’opposizione conservatrice della Cdu chiedere un «riconoscimento solo a negoziato di pace ultimato», dall’altro il partito di sinistra Die Linke incalzare per aderire all’iniziativa delle tre capitali. A Roma sia Schlein (Pd) che Conte (M5S) chiedono il riconoscimento: la prima all’Ue, che tace; il secondo al governo Meloni, altrettanto silente. Parla invece il ministro degli esteri Tajani: «I passi che servono soltanto a creare tensione non servono», dice riferendosi all’iniziativa dei tre. Poi spiega: non può esserci «riconoscimento della Palestina senza il riconoscimento di Israele dello Stato palestinese e viceversa».

DIVERSA LA POSIZIONE di Parigi. Pur giudicando prematuri i passi compiuti da Spagna, Irlanda e Norvegia, il ministro degli esteri Séjourné ha dichiarato: «Al momento non ci sono tutte la condizioni affinché questa decisione abbia un effetto reale». Tuttavia «Non è un tabù per la Francia».