Nuovo episodio nel braccio di ferro che oppone la Polonia all’Unione europea: ieri, la Corte di Giustizia della Ue, sollecitata dalla Commissione, ha deciso che Varsavia deve pagare un milione di euro al giorno di multa, appena ricevuta la richiesta, per non aver messo fine all’attività della camera disciplinare della Corte suprema, che minaccia l’indipendenza della giustizia.

È UN MULTA-RECORD, la più alta mai inflitta a un paese membro nella storia della Ue. Per la Polonia, si addiziona alla multa di 500mila euro al giorno, decisa sempre dalla Corte di Giustizia il 20 settembre scorso, perché Varsavia non ha messo fine, nei tempi stabiliti, allo sfruttamento della gigantesca miniera di carbone di Turow, nel sud-ovest del paese, al confine con la Germania e la Repubblica ceca, paesi che contestano lo sfruttamento dell’impianto più inquinante d’Europa, attiva dal 1907 (la Polonia ricava ancora dal carbone il 70% dell’energia).

Finora, il governo nazionalista del Pis ha risposto con un’alzata di spalle e non ha mai pagato il dovuto alla Commissione. Nel frattempo, Bruxelles non ha ancora approvato il piano di rilancio della Polonia, a cui sono destinati 24 miliardi di euro di sovvenzioni e 12 di prestiti del Next Generation Eu, il programma di 750 miliardi, anche se la Commissione precisa che il ritardo sul vaglio del programma polacco è «una procedura distinta» e non ha nulla a che vedere con il braccio di ferro sul rispetto dei valori della Ue.

MA IL PRIMO MINISTRO polacco, Mateusz Morawiecki, cerca di sfruttare la confusione. Ieri, il portavoce del governo ultranazionalista ha parlato di «ricatto» Ue, come già Morawiecki nel discorso di fronte al Parlamento europeo prima del Consiglio europeo della settimana scorsa: «La via della punizione e dei ricatti non è quella giusta». Per il governo polacco, «la Ue è una comunità di stati sovrani governati da regole chiare. Mostrano una chiara divisione delle competenze tra Ue e stati membri. La questione dell’organizzazione della magistratura è di competenza esclusiva degli stati membri». Il governo ripropone quindi la versione, contestata fortemente a Bruxelles, della «priorità» del diritto nazionale su quello comunitario, sostenuta il 7 ottobre scorso dal Tribunale costituzionale polacco.

Ma il governo di Varsavia oscilla sulla camera disciplinare: lo stesso Morawiecki era sembrato promettere ai partner una revisione imminente o addirittura il ritiro del sistema di controllo dei giudici, che possono venire puniti se applicano il diritto della Ue. Ma poi, nei fatti, non ha dato seguito alle sue affermazioni. E proprio questo tira e molla adesso ha provocato la nuova sanzione di un milione al giorno: il 14 luglio scorso, la Corte di Giustizia aveva ordinato a Varsavia di cessare immediatamente le attività della camera disciplinare. Ma la decisione non è stata applicata. Per questo la Commissione il 7 settembre si è di nuovo rivolta alla Corte di Giustizia, per chiedere sanzioni.

IL COMPORTAMENTO del governo nazionalista polacco è di fatto una sfida aperta alla costruzione comunitaria, attaccata prima con la «legge bavaglio» poi con la sentenza del Tribunale costituzionale sulla priorità delle leggi nazionali. Contro il Polexit giuridico sono già scese in piazza decine di migliaia di persone in Polonia.

Il problema sollevato dal nazionalismo polacco è la messa in discussione di un principio di democrazia: ogni cittadino Ue ha il diritto di essere trattato allo stesso modo in tutto lo spazio Ue, deve avere la certezza del diritto e non può essere sottoposto a soprusi a sorpresa. Questo riguarda i singoli cittadini e anche il diritto degli affari. «I sistemi giudiziari della Ue devono essere indipendenti e giusti» ricorda la Corte di Giustizia nella decisione di ieri. La Polonia deve rispettare le decisioni della più alta giurisdizione Ue «per evitare un pregiudizio grave e irreparabile all’ordine giuridico della Ue e ai valori su cui la Ue è fondata, in particolare lo stato di diritto».