La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito che la “condizionalità” tra versamento dei fondi europei e rispetto dello stato di diritto è perfettamente legale, in nome dei valori della Ue: questo regolamento, che sulla carta è in vigore dal 1° gennaio 2021, era di fatto stato sospeso dalla Commissione, in attesa della sentenza della Corte di Giustizia, sollecitata a esprimersi sulla sua legalità da Polonia e Ungheria, due paesi che dovrebbero essere messi in causa per le derive dello stato di diritto, il primo sull’indipendenza della giustizia, il secondo per la corruzione.

La Corte di Giustizia ha dato torto al ricorso di Varsavia e Budapest, che sostengono che il regolamento della condizionalità non rispetta i Trattati e che priva gli stati della certezza del diritto. Non c’è appello possibile a questa decisione. I fondi del Recovery potrebbero quindi essere bloccati per Polonia e Ungheria: si tratta rispettivamente di 23,9 miliardi di sovvenzioni e 12,1 di prestiti per Varsavia e di 7,2 miliardi di sovvenzioni per Budapest.

IL PARLAMENTO EUROPEO, che aveva avviato un ricorso contro la Commissione per “inattività”, ieri ha interrogato l’esecutivo europeo (anche se la presidente, Ursula von der Leyen non si è presentata e si è fatta sostituire dal commissario al Bilancio, Johannes Hahn): «Adesso l’Europarlamento aspetta che la Commissione applichi velocemente il meccanismo di condizionalità», che «per noi non è negoziabile», ha affermato la presidente Roberta Metsola. Il Parlamento europeo «ha la leva dell’approvazione del bilancio per fare pressione», sottolineano i Verdi. «Una sentenza senza appello», per l’europarlamentare Renew Valérie Hayer, «il meccanismo che condiziona il versamento dei fondi al rispetto dello stato di diritto è perfettamente legale, la Commissione non ha più scuse».

Reazioni soddisfatte di varie capitali: «Una buona notizia» per la Francia, la decisione della Corte «rafforza la nostra comunità di valori» per la Germania. Per Olanda, Belgio e Lussemburgo, «c’è il via libera perché la Commissione reagisca». La Corte di Giustizia, ha aggiunto il primo ministro belga Alexander De Croo «fa riferimento ai valori europei in senso ampio, sono i nostri valori fondamentali, la libertà, la democrazia, ma anche l’eguaglianza uomo-donna e i diritti delle persone Lgbti+. Sarà sempre più difficile per gli stati membri pretendere che questi diritti non siano vincolanti e che possano essere ignorati».

Sulla carta, la Commissione può finalmente agire sulla base della protezione dei contribuenti Ue dalla frode. La decisione della Corte di Giustizia, infatti, non è una “punizione” per le deviazioni – come potrebbe essere interpretato il ricorso all’articolo 7, già in corso per Polonia e Ungheria, rispettivamente dal 2017 e dal 2018 e che potrebbe portare alla sospensione del diritto di voto in Consiglio dei due paesi, procedura che all’atto pratico è arenata da tempo.

PER LA CORTE DI GIUSTIZIA, «un corretto management del budget Ue e gli interessi finanziari dell’Unione possono essere seriamente compromessi da un non rispetto dello stato di diritto». Ma nei fatti la Commissione ha reagito ieri con estrema prudenza. Bruxelles aspetta «maggiori chiarimenti» sulle «linee direttrici», che saranno oggetto di «valutazioni approfondite nelle prossime settimane». Poi dovrebbe avviare un iter lungo e complicato: una “notifica” agli stati messi in causa, che avranno tra uno e tre mesi per “formulare osservazioni” in risposta. Una volta ricevute le osservazioni, la Commissione deve decidere se presentare la richiesta agli stati membri per avviare un’azione. Se deciderà di agire, gli stati messi in causa avranno ancora un altro mese per rispondere con delle seconde “osservazioni”, questa volta relative alla “proporzionalità” dell’azione. In seguito, ci sarà ancora un altro mese per presentare una proposta di azione agli stati membri, ed entro tre mesi la questione dovrà passare in Consiglio a maggioranza qualificata (almeno 15 stati su 27). In altri termini, non ci sarà nulla, al meglio, prima dell’estate.

INTANTO, IL 3 APRILE ci sono le elezioni in Ungheria e Bruxelles vuole evitare di dare argomenti anti-europei a Viktor Orbán in campagna elettorale. La Polonia spera di evitare la sospensione del versamento dei fondi, tanto che nei mesi precedenti era arrivata a un’attenuazione delle controverse leggi sulla giustizia. Inoltre il presidente, Andrzej Duda, è ormai un interlocutore importante per i partner nella crisi dell’Ucraina: la Polonia ha la presidenza dell’Ocse (l’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, 57 membri) e per far fronte alle tensioni di guerra è rinato il triangolo di Weimar (Francia, Germania, Polonia).

Ieri, Varsavia ha criticato una «decisione sfortunatamente conforme alla pericolosa tendenza della Corte di Giustizia e delle istituzioni della Ue ad allargare lo spazio legale al di là dei Trattati», definendola «un ricatto agli stati sovrani quando le loro posizioni sono diverse da quelle degli eurocrati». Per l’Ungheria, si tratta di «un giudizio politico», a causa «della legge sulla protezione dell’infanzia», ha commentato la ministra della Giustizia, Judit Varga.