Emmanuel Macron ha dichiarato lo stato d’emergenza in Nuova Caledonia, dopo la convocazione di un Consiglio di Difesa all’Eliseo, una misura che era già stata presa dal socialista Laurent Fabius nel 1985 (sulla base di una legge istituita nel 1955 per l’Algeria). La Nuova Caledonia, Territorio d’oltremare francese colonizzato nel 1853, è in preda al caos da due giorni. «Una situazione insurrezionale» per l’Alto commissario della Repubblica, Louis Le Franc, un rischio di «guerra civile», con la «popolazione terrorizzata».

Ci sono già stati almeno 3 morti, uccisi con armi da fuoco, un gendarme di 22 anni è deceduto ieri anch’egli colpito da uno sparo, mentre ci sono «centinaia» di feriti, secondo il ministro degli Interni, Gérald Darmanin.

Tutte le forze politiche locali, il Flnks (Fronte di liberazione nazionale kanak e socialista), l’Uni, gli indipendentisti e i «lealisti» hanno lanciato un appello comune «alla calma e alla ragione». Dei giovanissimi kanak, che sfuggono al controllo del Flnks, si stanno rivoltando, incendiando edifici pubblici, case private, fabbriche, i negozi sono saccheggiati.

Dall’inizio della settimana il territorio è in preda alla violenza. Non funziona più niente, scuole, ospedali, servizi chiusi. L’assalto, diversamente al passato – grandi disordini avevano avuto luogo dal 1984 al 1988, quando il 5 maggio nell’assalto alla grotta di Ouvéa c’erano stati 19 morti kanak e due gendarmi – questa volta ha raggiunto la capitale, Nouméa «la bianca».

La popolazione locale si è organizzata in milizie, per difendersi. In Nuova Caledonia, un po’ più di 270mila abitanti, circolano più di 100mila armi. Dalla Francia sono in arrivo rinforzi di polizia. L’esercito assicura la sicurezza dell’aeroporto. L’imposizione dello stato d’emergenza è una richiesta avanzata da destra e estrema destra.

La scintilla, la nuova legge elettorale

La scintilla che ha fatto esplodere il Territorio è la legge già passata al Senato e votata la scorsa notte dall’Assemblée Nationale, con 351 voti contro 153, che scongela le liste elettorali, che gli accordi di Nouméa del 1998 avevano bloccato a quella data: le persone nate sul posto dopo il 1998 e i residenti da più di dieci anni avrebbero così diritto a partecipare alle elezioni provinciali, che dovrebbero tenersi entro il 2025. Si tratta di 25mila persone, ma per le popolazioni autoctone significa un ridimensionamento, anche se i kanak sono maggioritari, 112mila, mentre gli europei, i caldoches (una parte discendente dai comunardi deportati dopo la sconfitta della Comune di Parigi nel 1871), sono 65.500, 22.500 l’etnia wallis più altri, asiatici in maggioranza.

Due legittimità si scontrano: quella degli autoctoni, che hanno oggi la guida del governo locale ma si sentono messi ai margini economicamente, e quella democratica, con il diritto di voto per tutti i cittadini. Ma il governo francese ha fatto passare la legge senza prima discuterne i termini con i partiti autoctoni. In precedenza aveva dato l’impressione di prendere le parti dei «lealisti», aveva nominato ministra Sonia Bakès, una politica locale e il relatore della legge di disgelo degli elettori è un altro deputato dei «lealisti». «Lo scenario del peggio», ha affermato un deputato del Pcf ieri, accusando il governo di «enormi responsabilità». Per la France Insoumise, lo stato d’emergenza è la «scelta peggiore, non è il momento di aggiungere la repressione» ai disordini in corso.

L’accordo di Nouméa del 1998

Oggi, Macron, che ha invitato a Parigi le delegazioni dei partiti locali che potrebbero incontrare il primo ministro Gabriel Attal, afferma che la legge elettorale potrà essere ritirata se interverrà un accordo tra le parti in causa. In caso contrario, ci sarà la riunione del Congresso (Assemblée nationale e Senato) per la necessaria modifica della Costituzione.

L’Onu, nel 1986, aveva posto la Nuova Caledonia tra i territori da «decolonizzare». Nel 1988, dopo anni di disordini, l’allora primo ministro, Michel Rocard, aveva raggiunto un’intesa, grazie anche alla mediazione della chiesa protestante, che poi dieci anni dopo ha portato all’Accordo di Nouméa, che ha riconosciuto la cittadinanza della Nuova Caledonia e aperto di fatto la porta alla fine del controllo francese su questo gruppo di isole a 17mila km da Parigi.

In base a questa intesa, ci sono già stati tre referendum sull’indipendenza: tutti vinti dal «no», 56,4% contro il distacco dalla Francia nel 2018, 53% nel 2020 e 96% nel 2022, ma in quest’ultimo voto c’era stato il boicottaggio degli indipendentisti, che quindi chiedono un quarto referendum. L’accordo di Nouméa prevede 3 referendum con la vittoria del «no» per rinunciare all’indipendenza, mentre sarebbe bastato un solo referendum con il «si» maggioritario per costituire uno stato autonomo.

Il capo del governo della Nuova Caledonia, Louis Mapou, dell’Unione nazionale per l’indipendenza, ha affermato ieri che «la frustrazione e la collera non devono trascinarci in una dinamica di rottura, non possiamo metterci a distruggere cosa abbiamo costruito difficilmente dal 1988». Nel 1989, il leader dei kanak, Jean-Marie Tjibaou, era stato ucciso da un estremista indipendentista.

Oggi, il centro culturale kanak, costruito da Renzo Piano, porta il nome di questo uomo politico che aveva lavorato per costruire la pace e il futuro. Anche oggi le violenze stanno dividendo il fronte dei kanak.

Il nickel

In Nuova Caledonia persiste una grande ingiustizia sociale e economica, tra la grande isola dove gli europei sono maggioranza a Nouméa e le isole Loyauté, abitate dai kanak, età media 30 anni, che si sentono messi ai margini. Il primo medico kanak è in attività dal 2008, il primo avvocato autoctono ha prestato giuramento nel 2016.

La principale risorsa economica della Nuova Caledonia è il nickel, seconda riserva al mondo, 20-30% del totale. Ma l’estrazione del nickel ha attraversato una crisi, la concorrenza dell’Indonesia si è fatta sentire, l’energia è più cara in Nuova Caledonia e c’è una mancanza di competitività. La Cina è in agguato, per conquistare le miniere di un minerale indispensabile per le batterie delle auto elettriche.

I servizi segreti francesi hanno messo in guardia sulle azioni sotterranee, anche per fomentare i disordini e distribuire armi da fuoco, di Russia e Cina, che esportano nel Pacifico i conflitti geopolitici (molti stati del pacifico insulare sono ormai nell’area di interesse economico di Pechino).

Quest’inverno sono cresciute le tensioni attorno alle miniere di nickel. Gli indipendentisti hanno denunciato un «patto coloniale» in preparazione, che prevede un intervento dello stato francese per salvare la SLN e Eramet, due società minerarie che accumulano debiti e hanno registrato un crollo degli utili, mentre la gestione era passata al Congresso locale con gli Accordi di Nouméa. Glencore ha messo in vendita la miniera di Koniambo in Nuova Caledonia.

Ma il nickel è il cuore dell’economia del territorio, il 25% dell’occupazione ne dipende.