Un anno di proteste è coinciso con un anno di stallo per l’accordo nucleare firmato a Vienna il 14 luglio 2015. Prevedeva la fine graduale delle sanzioni, in cambio di un limite all’arricchimento dell’uranio nelle centrali sottoposte a ispezioni dell’Aiea, l’agenzia internazionale per l’energia atomica. Il movimento Donna, vita libertà ha contribuito a rallentare la ripresa dei negoziati sul nucleare perché gli Stati uniti e l’Europa speravano che il dissenso facesse cadere, o perlomeno traballare, la Repubblica islamica. Così non è stato: ayatollah e pasdaran sono ancora al potere, la repressione di regime continua a mietere vittime e – per fare fronte alle sanzioni occidentali – le autorità di Teheran portano avanti una politica di buon vicinato e stringono alleanze guardando a Oriente. Stati uniti ed Europa hanno fatto male i conti e perso l’occasione di contenere il programma nucleare iraniano.

A FIRMARE il Jcpoa (Piano d’azione congiunto globale) erano stati i negoziatori iraniani e i 5+1, ovvero i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite più la Germania. Il presidente statunitense Barack Obama aveva siglato l’accordo, ma il Congresso non lo aveva ratificato. Insediatosi alla Casa Bianca, Donald Trump si era ritirato unilateralmente dall’intesa l’8 maggio 2018, con il pretesto che era indispensabile inserire il divieto – per l’Iran – di perseguire un programma balistico. Richiesta irricevibile per ayatollah e pasdaran, memori dell’invasione dell’Iran da parte delle truppe irachene di Saddam Hussein che aveva scatenato una guerra durata dal 1980 al 1988. Durante quel conflitto, nessun paese aveva voluto vendere missili all’Iran, motivo per cui gli iraniani sanno di dover fare da sé.

IN SEGUITO al ritiro unilaterale degli Usa, le imprese europee avevano abbandonato i progetti di business con Teheran per timore delle sanzioni secondarie del Tesoro statunitense. Esattamente un anno dopo, di fronte a un’Europa incapace di mantenere fede agli impegni sottoscritti a Vienna, nel maggio 2019 le autorità di Teheran avevano ricominciato ad arricchire l’uranio al di sopra della soglia concessa.

Che senso aveva rispettare un accordo che gli altri firmatari avevano deciso di violare, mantenendo in essere le sanzioni e mettendo così in grave difficoltà l’economia iraniana? In questi anni Teheran ha continuato ad arricchire l’uranio al di sopra della soglia concessa e, per questo, due giorni fa Londra, Parigi e Berlino hanno deciso di mantenere in essere le sanzioni all’Iran in scadenza il 18 ottobre.

In questo contesto, l’amministrazione Biden gioca su più tavoli. Prende tempo, nella speranza che il regime iraniano collassi, ma anche per timore che tendere la mano ad ayatollah e a pasdaran possa inimicare una parte dell’elettorato e mettere a rischio un secondo mandato. La diplomazia continua, comunque, a fare il suo lavoro. Il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha dichiarato in un’intervista pubblicata il 3 settembre sul quotidiano moderato Ettelaat che, su iniziativa del sultano dell’Oman, Teheran e Washington stanno lavorando a un nuovo documento che sostituirà il Jcpoa. Su questo gli Stati uniti tacciono, ma intanto stanno per essere consegnati all’Iran i 6 miliardi di dollari congelati nelle banche sudcoreane dopo la scadenza del waiver sul petrolio iraniano concesso dagli Usa a Seul. In concomitanza con la restituzione di queste somme, vi è lo scambio di cinque prigionieri statunitensi in carcere in Iran con cinque iraniani detenuti negli Usa.

DI FRONTE a un Occidente che impone sanzioni e sostiene il dissenso in Iran e nella diaspora, le autorità di Teheran portano avanti una politica di buon vicinato e stringono alleanze guardando a Oriente.

L’Iran ha aderito alla Shanghai Cooperation Organization, grazie alla mediazione di Pechino a marzo ha riallacciato relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita, e ad agosto è stato invitato a far parte dei Brics.

Infine, ieri sono iniziati a Riad i primi colloqui di pace tra governo saudita e governo yemenita degli Huthi, in carica dal 2014 a Sanaa e sostenuti dall’Iran. L’impressione è che l’Occidente sia diventato superfluo, in un Medio Oriente in cui a esercitare l’arte della diplomazia sono l’Oman e la Cina.