La città di Los Angeles come il paese, è frammentata, dissociata. Gli “essenziali” vanno al lavoro, gli altri continuano il lockdown in questa contea dai contagi che ancora si impennano. Molti altri preparano le manifestazioni del giorno, mentre si tirano le somme di quelle del giorno precedenti. Il bilancio è positivo.

LE MANIFESTAZIONI PACIFICHE sono state la migliore delle risposte alle irresponsabili intemperanze della Casa bianca. La città è stata invasa da cortei e manifestazioni – da giovani e giovanissimi soprattutto, ragazzi, studenti e lavoratori – liceali. Le generazioni cresciute negli ultimi anni nelle scuole multietniche delle grandi città dove si ascolta e si parla hip-hop e latinx e il razzismo dei padri è un tossico anacronismo.

Ieri era netta questa sensazione di svolta generazionale – una saldatura inedita. Le rivolte del ’92, ad esempio, erano ancora qualificabili come «ghetto in fiamme». Archiviato così anche l’interminabile stillicidio di omicidi di polizia di cui abbiamo dovuto fare la cronaca attraverso gli anni e che hanno falcidiato vittime inermi (soprattutto giovani uomini) dalla pelle nera. Nemmeno il movimento BLM, nato sei anni fa per dare forma politica alla protesta aveva raggiunto una massa critica.

IERI A HOLLYWOOD invece era diverso: migliaia di ragazzi arrabbiati, rumorosi ma anche festanti, con in pugno mazzi di fiori. A tratti in cortei di massa, atratti in rivoli nei quartieri, con azioni spontanee: sit-in davanti alle linee blindate di polizia e della guardia nazionale – in presidi improvvisati agli incroci. Nessun looting, i saccheggi cari ai Tg, grazie anche ai servizi d’ordine interni e alla volontà collettiva.

Nel tardo pomeriggio una fiumana di persone ha raggiunto il quartiere signorile di Hancock Park, dai prati tosati e jacarandà in fiore. In 5000, per tre ore davanti alla residenza del sindaco Garcetti che intanto al municipio stenta a stare al passo degli eventi con gli strumenti tradizionali della retorica della conciliazione liberal.

AUMENTA OGNI GIORNO la sensazione che le parole non basteranno a far rientrare la crisi. Certo non quelle di un’amministrazione, fuori tempo massimo, arroccata dietro l’America peggiore, rigurgito anacronistico di Joe Mc Carthy di George Wallace e Bull Connor. Il “best of” del razzismo recalcitrante alla base della cultura di polizia fondata sulla sottomissione (Dominateli! Continua a intimare Trump che agli agenti aveva sempre detto di non usare i guanti).

Ecco, forse per la prima volta si intravede il sollevamento generale che potrebbe cominciare a prevalere – a rimettere in carreggiata quella narrazione americana che vuole il paese sulla via di una lunga e difficile redenzione dai peccati originali. L’arco morale «ricurvo verso la giustizia» di Martin Luther King. E i ragazzi che in questi giorni rimangono pacificamente assembrati oltre il coprifuoco per farsi arrestare in massa mostrano di conoscere anche il suo messaggio (La polizia di LA li aveva detenuti nello stadio di baseball di UCLA prima della protesta formale del rettore).

SEMPRE IERI INCONTRIAMO Spike Lee .«C’è un abitudine a chiedere a noi neri come porre fine al razzismo – dice – ma questa è una domanda a cui dovete rispondere soprattutto voi bianchi. Quello che mi rincuora sono tutti i giovani fratelli e sorelle bianchi che sono scesi in piazza accanto a noi. Quando vedo la lista delle città…Des Moine Iowa? Salt Lake City !? Ma ci sono neri a Salt Lake?! Non stanno nemmeno giocando gli Utah Jazz! Non ha precedenti vedere cosi tanti alleati che dicono con noi: “questa merda deve finire e BLACK LIVES MATTER!”».