Sono almeno nove i morti (6 civili e 3 militari) causati dagli scontri al confine tra Somalia e Kenya che lunedì hanno interessato la città di Bulohawo, nella stato di Jubaland.

Accuse reciproche tra i due stati: il governo somalo afferma attraverso il ministro dell’Informazione Osman Abukar Dubeche che «le truppe keniote, accompagnate da combattenti somali addestrati dal Kenya, sono entrate nella città di Bulohawo per attaccare le basi federali somale e hanno colpito abitazioni civili uccidendo 3 militari, 5 bambini e la loro madre».

Il ministro dell’Interno keniota, Fred Matiangi, ha invece negato qualsiasi coinvolgimento del suo paese: «Questo è un conflitto interno somalo e il Kenya non è coinvolto in alcuna maniera negli scontri».

Il vicepresidente dello Jubaland, Mohamud Sayid Adan, ha riferito ai giornalisti che le forze regionali, di stanza fuori dalla città, sarebbero state colpite da truppe somale schierate di recente nella regione dal governo di Mogadiscio, in vista delle prossime elezioni parlamentari e presidenziali, previste per febbraio.

Il governo somalo accusa il Kenya di voler favorire l’auto-proclamato stato dello Jubaland (2011) e il suo presidente, Ahmed Madobe , con l’obiettivo di creare una zona cuscinetto tra il suo territorio e gli islamisti del gruppo Al-Shabaab, mentre la Somalia mira a mettere un suo rappresentante per aumentare il controllo su tutta l’area.

Accuse confermate dalla decisione di Mogadiscio, lo scorso 16 dicembre, di voler chiudere la frontiera e cessare le relazioni diplomatiche con Nairobi, espellendo l’ambasciatore keniota, a causa delle sue ingerenze che «mirano a dividere l’integrità, la sovranità e la stabilità del paese», come dichiarato dal presidente Abdullahi Mohamed Abdullahi, detto “Farmajo”, secondo il quale il Kenya mira a «interferire nel processo elettorale nello Jubaland», uno dei suoi stati semiautonomi. Un altro motivo di frizione è sicuramente la questione che riguarda i confini terrestri e marittimi, a causa dei trattati di esplorazione in un’area contesa perché ricca di gas e petrolio.

La Somalia è divisa in 6 stati regionali: Puntland, Galmudug, Jubaland, South West State, Hirshabelle e Somaliland e lo stato di Jubaland è considerato strategico da Mogadiscio anche per l’importante città portuale di Kisimayo, dove tra l’altro sono di stanza numerosi militari di Nairobi, come parte della forza multinazionale dell’Unione Africana (Amisom).

La notizia degli scontri nello Jubaland, arriva il giorno successivo a quella relativa all’uccisione di 190 miliziani di Al-Shabaab in una serie di attacchi terrestri e aerei nei villaggi di Sigaale, Adimole e Kayitoy, situati 100 km circa a sud-ovest da Mogadiscio, da parte delle truppe ugandesi dell’Amisom, come confermato dalla Reuters.

Un tentativo, secondo numerosi analisti, di mostrare al gruppo jihadista che la forza multinazionale dell’Ua è in grado di contrastare la loro ascesa e di supportare le forze di sicurezza somale, nonostante il ritiro del contingente americano (700 militari) deciso da Trump.

Le elezioni sembrano comunque di difficile attuazione a causa sia delle spinte indipendentiste dei diversi stati regionali, ma soprattutto dei continui attacchi da parte dei miliziani jihadisti di Al-Shabaab contro obiettivi civili e militari in tutta la Somalia. L’ultimo attentato grave risale allo scorso 19 dicembre, con 20 persone uccise nella città di Galkayo (Somalia centrale) da un attentatore suicida che si era fatto esplodere durante il comizio elettorale del primo ministro somalo, Roble Mohammed Husein, vero obiettivo dell’attentato.

Nelle sue rivendicazioni Al-Shabaab ha fatto, infatti, sapere che «tenterà in qualsiasi maniera di ostacolare le elezioni e il rafforzamento dello stato centrale in tutta la Somalia».