Nel comunicato pubblicato dopo il vertice dei ministri degli esteri della Ue, ieri a Lussemburgo, è passata la parola «condanna» dell’azione «unilaterale turca» (ma non in testa alla dichiarazione, solo al secondo punto). La Ue «urge Ankara a cessare» il fuoco «e a ritirare le sue forze militari». Nessun chiaro riferimento ai «curdi» (che sono stati alleati nella guerra contro l’Is) né tanto meno a un «embargo» sulla vendita di armi ad Ankara.

I ministri che dovevano preparare il Consiglio europeo di giovedì e venerdì, si limitano a invitare i 28 paesi membri ad «adottare posizioni nazionali inflessibili relative all’esportazione di armi verso la Turchia». Ci sarà un «gruppo di lavoro», che si riunirà in settimana, per cercare un coordinamento tra paesi Ue. La decisione pratica più precisa riguarda soltanto un riferimento a possibili sanzioni contro «persone fisiche o morali» turche per i foraggi illegali al largo di Cipro.

A monte, ci sono le pressioni della Nato: il segretario dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, ha concluso che per la Turchia l’attacco nel nord della Siria rappresenta «una preoccupazione securitaria legittima» e si è limitato a suggerire ad Ankara di agire «con moderazione». La Turchia è il secondo esercito Nato con 700mila soldati, partecipa a missioni militari (Afghanistan, Kossovo ecc.) e ha 900 persone nelle strutture di comando della Nato (e nel 2021 dirigerà le Forze di reazione rapida) e, del resto, aveva chiesto senza problemi «una solidarietà più marcata» agli ancora alleati Nato.

La Gran Bretagna ha frenato fino all’ultimo per impedire che la «condanna» fosse più precisa. Con Londra, c’è un consistente schieramento di paesi Ue: in testa la Bulgaria, con l’Ungheria, la Polonia, tutti soprattutto preoccupati dal ricatto della Turchia sui rifugiati. Sul blocco della vendita di armi, i ministri non hanno potuto raggiungere un accordo. Francia, Germania, Olanda, Finlandia, Spagna, Austria e Belgio sono d’accordo per sospendere ogni progetto di esportazione di armi verso la Turchia.

La Spagna ha minacciato il ritiro delle batterie di missili Patriot situate in una base aerea turca dal 2013. L’Italia potrebbe seguire dal 15 novembre prossimo (ritiro del sistema difesa terra-aria di media portata situato a Kahramanmaras, vicino a Gaziantep). La Turchia compra ami in Europa, tra i principali esportatori l’Italia, seguita da Spagna, Germania (un terzo dell’’export di armi va a Ankara), per la Francia è un cliente marginale (per Parigi pesano molto di più gli aerei civili).

Macron ha chiesto la «cessazione immediata» dell’offensiva turca. Ieri, il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, ha rinunciato ad essere presente, come previsto, alla partita di calcio Francia-Turchia per la qualificazione all’Euro2020, anche se la partita non è stata annullata, come richiesto da più voci (i calciatori turchi, venerdì si sono distinti per un saluto militare in omaggio ai loro militari dopo la vittoria sull’Albania), ma sono stati dispiegati 600 poliziotti per far fronte a eventuali agitazioni. Le Drian, in un comunicato firmato con Di Maio prima dell’inizio del vertice a Lussemburgo, ha chiesto di nuovo alla Turchia di «cessare immediatamente le operazioni militari». Per la Francia, «l’offensiva turca rischia di comportare la rinascita dell’Isis sotto diverse forme. È particolarmente grave, perché le forze democratiche siriane, oggi minacciate, sono nostri alleati, sono stati i nostri alleati dall’inizio nella lotta contro Daesh».

La Francia chiede una riunione immediata della coalizione internazionale contro Daesh. Il timore è anche sulle conseguenze della guerra in corso per quanto riguarda i jihadisti stranieri detenuti, che possono rappresentare un rischio per la sicurezza nei paesi europei. Ci sarebbero 800 donne e bambini, famigliari di combattenti islamisti, fuggiti da un campo. In Francia alcune famiglie chiedono allo stato di rimpatriarli, argomento esplosivo di cui si discute da mesi.