Soldati italiani a difesa dei paesi confinanti con l’Ucraina. Per la precisione 1.150 unità da impiegare per il rafforzamento dei contingenti Nato già presenti nell’Est Europa. E’ quanto prevede il decreto missioni internazionali come conseguenza dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Nel decreto, in discussione in questi giorni nelle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, è prevista anche una modifica dell’impegno italiano in Libia: stop all’addestramento della Guardia costiera di Tripoli, alla quale continueremo però a fornire assistenza tecnica e pezzi di ricambio per le motovedette con cui vengono fermati i migranti. Un «disimpegno» parziale che non soddisfa chi, nel Pd, avrebbe voluto mettere la parola fine alla missione nel Paese nordafricano.

LA DECISIONE DI PUTIN di invadere l’Ucraina ha costretto il governo italiano a rivedere anche le missioni dei nostri soldati all’estero, fino al punto di prevedere un maggior impegno in termini di uomini, mezzi e risorse nelle attività dell’Alleanza in Bulgaria, Romania, Slovacchia e Ungheria, ma anche nel Mediterraneo. Il nuovo impegno, viene spiegato nel decreto, «rappresenta una misura di rassicurazione degli Alleati, atta a migliorare la capacità di risposta ad eventuali minacce dall’esterno».

Nello specifico è previsto lo schieramento di Battlegroup multinazionali nei quattro paesi che confinano con l’Ucraina e che avranno il compito di affiancare gli eserciti nazionali in diversi compiti: dal «supporto al combattimento», compresa una struttura sanitaria, all’assistenza fornita da «un team per la protezione cibernetica delle reti». In tutto è previsto l’impiego di 380 mezzi terrestri e di 5 tra aerei ed elicotteri con un finanziamento fino al 31 dicembre 2022 calcolato in 39.598.255 euro.

UN ALTRO CAPITOLO riguarda la Libia. Tecnicamente si potrebbe definire un declassamento della missione nel paese nordafricano. L’Italia non addestrerà più la Guardia costiera di Tripoli come ha fatto fino a oggi, ma si limiterà a riparare e fornire pezzi di ricambio alle motovedette (italiane) che la Marina di Tripoli utilizza per intercettare nel Mediterraneo i migranti che cercano di raggiungere l’Europa riportandoli nei centri di detenzione. E questo – è scritto nel decreto – allo scopo di «supportare le autorità libiche preposte al controllo dei confini marittimi, per renderle progressivamente autonome nella gestione tecnica e operativa dei mezzi di cui sono dotate».
Che qualcosa nel rapporto con la Libia dovesse cambiare era nell’aria. L’anno scorso, quando di trattò di licenziare la delibera, una nutrita pattuglia composta da parlamentari di Pd, M5S e Leu si rifiutò di votare la scheda riguardante proprio l’addestramento della Guardia costiera libica chiedendo un’inversione di rotta. La soluzione trovata fu un emendamento presentato dal Pd nel quale si chiedeva al governo di trasferire la formazione dei libici all’Unione europea.

In realtà quella che il governo vorrebbe adottare oggi è un parziale passo indietro. E’ dal 2020 infatti che l’addestramento degli equipaggi libici, per di più sulle motovedette fornite dal nostro Paese, è affidato alla Turchia che in questo modo di fatto ha anche il controllo anche della gestione dei migranti nel paese nordafricano dal quale parte la stragrande maggioranza di quanti arrivano nel nostro Paese. Argomento delicatissimo, al punto che non è escluso che sia stato affrontato anche nel colloquio che il premier Mario Draghi ha avuto una settimana fa ad Ankara con il presidente Recep Tayyip Erdogan.

RISPETTO ALL’ANNO SCORSO, quando la spesa prevista per l’addestramento dei libici è stata di 10,5 milioni di euro, 500 mila euro in più rispetto al 2020, quest’anno è previsto un ulteriore incremento del fabbisogno finanziario che porta la cifra stanziata a 11.848.004 euro.

La missione rientra in quanto previsto dal nel Memorandum Italia Libia del 2017 e per la manutenzione dei mezzi navali di Tripoli prevede l’impiego di un Guardacoste «Classe Bigliani» corredato da un sistema di videosorveglianza per la difesa passiva, quattro blindati, «nonché materiali di consumo e parti di ricambio per la manutenzione delle unità navali libiche» insieme 25 militari. La durata della missione è infine prevista fino al 31 dicembre 2022.

La scelta di limitare l’impegno italiano alla sola manutenzione delle mezzi navali libici non soddisfa però quanti continuano a giudicare troppo stretto il rapporto con un paese che ancora oggi si rifiuta di firmare la convenzione di Ginevra sui rifugiati. «Se si riconosce che il problema è rappresentato dalla Guardia costiera libica, che viola i diritti umani dei migranti, non si capisce perché gli forniamo un supporto operativo decisivo nelle operazioni di respingimento di quanti cercano di arrivare in Europa», spiega il dem Erasmo Palazzotto. Come l’anno scorso, è quasi scontato che anche quest’anno verrà chiesto il voto separato sulla scheda che riguarda la missione in Libia. «Mi auguro che tutto il Pd, in coerenza con quanto detto in passato, voti contro», continua Palazzotto.

Intanto i lavori nelle commissioni proseguono con, tra le altre, le audizioni del Capo di Stato maggiore della Difesa, di Unhcr, Oim, e Msf. Il 21 sono attesi i ministri della Difesa e degli Esteri, mentre entro la fine del mese il testo dovrebbe arrivare in aula per il voto finale.