In attesa dell’arrivo di Biden a scongiurare l’allargarsi del conflitto a tutta la regione, tra un missile e l’altro in Israele si levano voci che destano non poche preoccupazioni. Il trauma e la percezione di vulnerabilità hanno fatto da collante alla società israeliana che da sabato 7 ottobre si è ricompattata nel giro di poche ore, unita da un medesimo obiettivo: annientare Hamas.

Gli accaniti manifestanti del sabato sera hanno risposto senza esitazione alla chiamata alle armi e chi non è impegnato al fronte ha messo a disposizione risorse e competenze per fornire assistenza alle istituzioni in difficoltà.

PERSINO gli ultraortodossi si prodigano a modo loro per supportare i militari che si apprestano ad affrontare l’impresa contro il nemico comune. Il consenso rispetto alla necessità di un’azione militare via terra è pressoché assoluto nella società ebraica. Al governo di unità il compito di affiancare Netanyahu per garantire la sicurezza militare dell’operazione agli occhi dei cittadini sospettosi e sfiduciati.

Secondo la propaganda ufficiale, la tanto attesa missione si prefigge di indebolire al massimo Hamas colpendolo sia sotto il profilo militare, ovvero disarmandolo per quanto possibile, che su quello politico. Tuttavia i sospetti e le perplessità, seppure sotto forma di voci isolate, cominciano a emergere.

Anche se Israele riuscirà a far cadere il regime di Hamas, dicono alcuni, senza una nuova reggenza nella Striscia che assicuri un nuovo ordine almeno per un lasso di tempo provvisorio, Hamas rischia di riprendere velocemente il potere per diventare un’organizzazione terroristica operativa a livello internazionale contro chiunque appoggerà Israele. Peccato che nessuno dei candidati ad assumere il ruolo sembri adatto, né disposto ad assumersi l’onere.

Per annientare Hamas, affermano altri, ci vorrebbe molto tempo, mentre la pressione internazionale, a fronte del prezzo drammatico pagato dai civili di Gaza, non tarderà ad arrivare. Anche Netanyahu, che pure sembra un morto che cammina, non necessariamente si dimetterà tanto in fretta come si crede. Nonostante il buon gusto lo imporrebbe arrivati a questo punto, uno degli scenari prospettati è che il premier istituisca una commissione di inchiesta che, per giungere a una conclusione potrebbe richiedere settimane, mesi, o persino anni.

LE PREOCCUPAZIONI investono anche l’economia che risente già pesantemente della crisi e dell’assenza dei lavoratori impegnati al fronte. Del domani non c’è certezza dunque, e lo storico Yuval Noah Harari chiede al governo di formulare una dichiarazione di intenti sull’indomani della guerra in cambio dell’appoggio incondizionato dei cittadini.

Dal canto loro, gli estremisti di destra e i coloni approfittano del subbuglio dando la caccia a palestinesi e attivisti e arrivando a minacciare fisicamente anche questi ultimi. Un noto giornalista ultroartodosso ha dovuto abbandonare di notte la propria abitazione con l’aiuto della polizia per nascondersi con la famiglia, dopo aver espresso cordoglio per la morte dei bambini di Gaza.

Ma a denunciare e aggredire verbalmente i «traditori» come lui non sono solo gli estremisti: sembra che persino la sinistra, in preda com’è allo choc, serva inconsciamente la causa di Netanyahu. Il consenso sembra aver annullato le differenze, ma c’è chi potrebbe trarne rischioso vantaggio.

Nel frattempo dopo l’attentato di ieri sera a Bruxelles, sui social italiani si assiste ad un’escalation tanto di antisemitismo che di islamofobia. Ce n’è per tutti. Questo episodio è uno dei tanti che dimostra che seppure con le debite differenze, Israele e Palestina sono anche due pedine mosse dall’Occidente a servizio di scopi terzi. La vera svolta sarebbe quella di unirsi e vivere in pace.

Invece di cercare di imporre al paese una personalità estranea al contesto geografico, la soluzione proposta dall’architetto e ricercatrice Malkit Shoshan in un’intervista di ieri ad Haaretz è che gli israeliani accettino di essere parte del Medio Oriente, studino l’arabo e creino uno spazio equo per tutti. Sembra utopico, ma conveniamo con lei che razzismo e separazioni sinora non hanno dimostrato di funzionare.