Il diritto penale è per sua natura un oggetto politico. Ha una sua essenza convenzionale. È il frutto di scelte politiche storicamente determinate. Non va mai dimenticato che non esistono delitti o pene naturali. Tutto è creazione artificiosa del legislatore. «La criminalità e i criminali in natura non esistono» scrive Stefano Anastasia nel suo recente libro Le pene e il carcere (Mondadori, pp. 200, euro 15). Lo spacciatore di sostanze stupefacenti è tecnicamente un criminale fino a quando non ci sarà una legge che legalizzi la produzione o il possesso delle droghe.

LA QUESTIONE PENALE e penitenziaria ha a che fare con la democrazia. Non a caso il volume è inserito all’interno della collana «Lessico democratico» diretta da Manuel Anselmi. Pene, carcere, sicurezza, dignità, tortura sono tutti termini che fanno parte dello stesso campo semantico. Costituiscono altrettante parole di un vocabolario che Anastasia, con cui ho condiviso la lunga militanza in Antigone, cerca di ripulire dalla deriva populista con un’operazione di igiene linguistica, giuridica, sociologica, filosofica e culturale. A poche settimane dal voto la lettura delle pagine del libro su politica e giustizia penale al tempo dei populismi ci aiuta a decodificare i discorsi pubblici che abbiamo finora sentito, e quelli che andremo ad ascoltare, su sicurezza, immigrazione e carcere.

Stefano Anastasia richiama il demo-consensualismo nel quale siamo immersi utilizzando le categorie interpretative di Luigi Ferrajoli che ci ammonisce intorno al declino della «democrazia attiva» verso forme pericolose di «democrazia passiva». Più sicurezza, certezza della pena, repressione di polizia sono le armi facili nelle mani di chi vuole facilmente legittimare il proprio consenso popolare. I partiti hanno rinunciato ad avere una qualsivoglia funzione pedagogica. In questo modo «l’uso simbolico del diritto penale è diventato un capitale essenziale nella ricerca del consenso politico».

L’AUTORE CI OFFRE una griglia analitica e interpretativa degli usi populisti del diritto e della giustizia penale: gli attori (partiti o istituzioni che esplicitamente assecondano o sollecitano una domanda di punizione); i target della loro iniziativa (i nemici del popolo, cioè le élites contro cui si scagliano gli attori del populismo; anche quando i nemici sono gli immigrati la rabbia populista si rivolge contro le tecnocrazie che spingono verso la sostituzione etnica o il cosmopolitismo); gli strumenti giuridici e culturali utilizzati (che consistono nella glamourizzazione comunicativa e nella rinuncia alla statistica quale scienza utile per comprendere i fenomeni sociali e criminali); le funzioni (stabilizzazione del governo se si è al potere; prospettiva di cambiamento se si è all’opposizione).

Potremmo cercare di leggere le proposte, i commenti, le interviste e i fatti dei prossimi mesi utilizzando questa griglia. Il tema della tortura è paradigmatico. Uno dei partiti che si affida alla retorica populista ha proposto nel suo programma di governo la parziale abrogazione della legge che proibisce la tortura. È questo un modo per consolidare il proprio consenso tra i cultori della sicurezza a tutti i costi e tra le oltre trecentomila persone che lavorano nelle quattro forze di Polizia presenti nel paese, senza preoccuparsi che sarebbe una violazione della legalità internazionale.

D’altronde, come si legge nella parte del libro relativa alla lunga gestazione che ha portato alla legge del 2017 sulla tortura, è sempre stato particolarmente intenso il potere delle polizie nella fragile democrazia italiana.

SIAMO TORNATI dunque alla questione democratica all’interno della quale vanno affrontati tutti i nodi critici che hanno a che fare con il sistema penale. Un modello penale pienamente garantista ha un suo spazio solo in una democrazia solida e in uno Stato di diritto altrettanto forte, dove ci sia un reciproco rispetto tra tutti gli attori del sistema. Un rispetto che dovrebbe portare uomini di partito a non commentare fatti di cronaca nera nell’immediatezza degli avvenimenti. Il libro di Anastasia ci aiuta a distinguere chi si muove nel campo populista da chi, invece, prova a restarne fuori, preservando argomenti razionali di cultura giuridica.