Non resterà senza conseguenze l’assassinio del dirigente indigeno cofán Eduardo Mendúa, il leader della Conaie, la Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador, incaricato dal 2021 delle relazioni internazionali. Uomini incappucciati, domenica, gli hanno scaricato addosso 12 colpi mentre si trovava nella sua chakra, la sua piccola fattoria a Lago Agrio, nell’Amazzonia ecuadoriana. E non sarà sufficiente ad abbassare la tensione l’arresto, la mattina del lunedì, di uno dei cinque sospettati del crimine: David Q., indicato come il conducente dell’imbarcazione usata dagli assassini.

UN OMICIDIO SUBITO ricondotto dalla Conaie al feroce modello estrattivista dominante nel paese: Mendúa era in prima linea nella difesa della comunità Cofán-Dureno di Sucumbíos dalle mire della Petroecuador, la compagnia petrolifera statale, interessata a sfruttare i 30 pozzi petroliferi aperti nel territorio di Dureno. E per questo non aveva esitato a denunciare il governo di Guillermo Lasso, accusandolo di dividere la comunità anziché promuovere una consultazione tra i suoi membri.

Poche ore prima di venire assassinato, Mendúa aveva postato su Facebook un messaggio rivolto alle autorità della provincia, del governo e della Petroecuador, sottolineando come la compagnia petrolifera avesse continuato «con i suoi stratagemmi per ingannare le comunità» e annunciando battaglia: «Non cederemo neanche un centimetro del nostro territorio a chi intende distruggere gli spiriti della nostra foresta, dei nostri laghi e fiumi, dei nostri luoghi sacri».

Ha annunciato battaglia anche la Conaie, la quale, in risposta all’omicidio, si è impegnata a radicalizzare le proteste contro il governo Lasso, ritenendolo responsabile non solo della morte del suo dirigente – dopo ripetuti allarmi lanciati dall’organizzazione rispetto alle minacce rivolte contro la comunità – ma anche dell’aumento della violenza e della presenza del narcotraffico nella regione. «La sicurezza e la vita di quanti difendono i territori dall’estrattivismo sono in pericolo», ha denunciato il presidente della Conaie Leonidas Iza, rivolgendo un appello agli organismi internazionali a mantenersi vigili sulla situazione dei popoli indigeni nel paese.

«È URGENTE un cambiamento totale nel modello di gestione delle risorse naturali», ha dichiarato Andrés Arauz, l’ex candidato presidenziale del correismo, il movimento politico dell’ex presidente Rafael Correa a sua volta avversato dai popoli indigeni proprio per le politiche estrattiviste portate avanti durante i suoi mandati.

UN MODELLO, quello estrattivista, che appare intoccabile in Ecuador, malgrado il petrolio, più che una risorsa, sia stato piuttosto una maledizione. Il paese, il membro più piccolo dell’Opec, produce 500mila barili di petrolio greggio al giorno, ma il governo Lasso punta a raddoppiarli, ritenendo le entrate petrolifere, oggi pari a 13 miliardi di dollari all’anno, essenziali per lo sviluppo del paese. Eppure, da quando, nel 1967, il consorzio Texaco-Gulf ha trivellato il primo pozzo a Lago Agrio, dando il via all’era dell’oro nero e disseminando l’Amazzonia di pozzi, oleodotti, camion cisterna e raffinerie, per la popolazione l’industria petrolifera non ha significato altro che povertà e devastazione.

IN 30 ANNI di attività la Texaco, poi acquistata da Chevron nel 2000, ha perforato 356 pozzi intorno a Lago Agrio, scaricando 60 milioni di litri di acque tossiche in fiumi e pozzi, in totale disprezzo delle normative sullo smaltimento dei rifiuti, e così inquinando falde acquifere e terreni agricoli: una delle peggiori catastrofi petrolifere della storia.
Per il disastro ambientale, Texaco-Chevron era stata condannata nel 2011 dalla Corte suprema di giustizia dell’Ecuador al pagamento di un risarcimento di 9,8 miliardi di dollari (poi alzato a 18 miliardi).

MA SETTE ANNI dopo la Corte permanente di arbitrato dell’Aja si era pronunciata a favore di Chevron per un presunto caso di corruzione. E intanto, se la compagnia, dopo aver ceduto le proprie attività alla Petroecuador, ha lasciato il paese senza versare un centesimo, gli indici di povertà delle contaminatissime province amazzoniche produttrici di petrolio oscillano tra il 44% e il 68%.