Si negoziano altri giorni di tregua e di scambi tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi. Ma queste sono ore in cui le forze armate israeliane riaccendono i motori per riprendere, forse già da domani, l’offensiva a Gaza. Israele non è disposto a prolungare il cessate il fuoco oltre dieci giorni, scriveva ieri il quotidiano Haaretz. Questo è quanto si è appreso dei colloqui tenuti a Doha con il capo del Mossad israeliano, David Barnea, il capo della Cia, William Burns, il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman al Thani, e il capo dell’intelligence egiziana, Abbas Kamel. Rischia perciò di rivelarsi inutile il secondo arrivo ieri a Tel Aviv, sempre via Larnaca, del piccolo aereo della Qatar Airways con a bordo negoziatori qatariori, gli stessi che sono riusciti ad ottenere la breve tregua umanitaria che negli ultimi 5 giorni ha permesso il ritorno a casa di decine di israeliani sequestrati e portati a Gaza da Hamas e altre organizzazioni il 7 ottobre e di oltre 150 donne e adolescenti palestinesi detenuti da Israele (negli stessi giorni sono stati arrestati altri 168 palestinesi).

Ieri sono stati liberati altri 10 ostaggi israeliani, tutte donne, e due cittadini stranieri. In tarda serata 30 prigionieri palestinesi sono tornati liberi in Cisgiordania. Canale 12 sostiene che nei prossimi giorni a Israele sarà presentata una proposta per la liberazione di tutti gli ostaggi e la restituzione dei corpi di soldati uccisi – nel 2014 e lo scorso 7 ottobre – nelle mani di Hamas, in cambio di tutti i prigionieri palestinesi e della fine della guerra. Sarà rifiutata categoricamente, aggiunge.

La tregua ha vacillato e non poco ieri. Non per divergenze su quali ostaggi a Gaza rilasciare e quali prigionieri scarcerare, come è avvenuto sabato scorso. Tre ordigni esplosivi, afferma Israele, sono stati fatti esplodere accanto a suoi soldati a Gaza city e nel nord della Striscia. Combattenti armati palestinesi inoltre avrebbero aperto il fuoco contro postazioni israeliane, sempre nella parte settentrionale di Gaza, facendo cinque feriti. «È una prima violazione significativa dell’accordo», hanno protestato i comandi militari. È stato un ulteriore motivo per la stampa israeliana, non solo quella di destra, per premere a sostegno della ripresa l’attacco militare. Walter Block, editorialista di Israel Ha Yom, il quotidiano più diffuso, ha scritto di essere «in disaccordo con la loro decisione (del premier Netanyahu e del gabinetto di guerra, ndr) di impegnarsi in una cosiddetta pausa umanitaria. La mia paura è che ciò porti a un cessate il fuoco generale, a una tregua e, infine, alla pace. Ciò andrebbe bene se Hamas liberasse tutti gli ostaggi, non solo alcuni di loro, e si arrendesse…Il giorno felice arriverà quando non ci saranno più pause. Niente più pause. Niente più cibo. Niente più medicine. Niente più elettricità. Niente più acqua. Non finché tutti gli ostaggi non saranno rilasciati e Hamas sarà assicurato alla giustizia». Del conflitto hanno bisogno anche il premier Netanyahu e i suoi alleati di estrema destra per provare a recuperare i tanti consensi perduti prima a causa della riforma giudiziaria, contestata da almeno metà di Israele, e poi per non aver saputo prevenire l’attacco di Hamas il 7 ottobre. Parlando del cosiddetto «dopo-Hamas» a Gaza, Netanyahu ha detto a Die Welt che Israele dopo aver sconfitto il movimento islamico, dovrà anche «smilitarizzare» e «de-radicalizzare» la popolazione palestinese. Resta a favore del nuovo attacco una buona porzione dell’opinione pubblica israeliana. Ieri sono apparsi nei social commenti di fuoco alle immagini da Gaza che mostravano decine di militanti delle Brigate Qassam di Hamas a bordo di jeep nuove fiammanti di scorta alle auto della Croce Rossa con i dieci sequestrati israeliani.

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In vista della ripresa della guerra l’esercito israeliano sta requisendo migliaia di veicoli privati ​​e civili per sostenere le operazioni militari: bulldozer, motociclette, camion e furgoni pagando un affitto giornaliero ai proprietari che può arrivare, scrive il giornale economico Calcalist, per una ruspa di 4.400 shekel (circa 1100). Nelle ultime settimane si sono viste immagini di bulldozer che abbattono senza sosta case palestinesi a Gaza e aprono nuovi varchi per i carri armati. L’Esercito, oltre a bombe e missili Usa ha bisogno di importanti forniture dall’industria bellica Elbit Systems Israele, che grazie ai suoi sistemi d’arma tra i più avanzati al mondo sta realizzando profitti senza precedenti. Lo ha riferito il suo presidente Bezalel Machlis. Per soddisfare le richieste ha dovuto impiegare altri 2.000 operai. Assumono lavoratori anche la Ematan e la IWI che producono armi più leggere, ora particolarmente richieste. Dall’inizio della guerra sono state presentate al Ministero della Sicurezza più di 190.000 richieste di licenze d’arma. Vanno a ruba le pistole nazionali Ramon e Masada, dal costo tra 3.000 e 4.000 shekel (776-1.000 dollari) preferite spesso alle straniere Glock, Sig Sauer, Beretta. Qualche settimana fa, aggiunge Calcalist, il capo del Consiglio degli insediamenti ebraici di Samaria (nord della Cisgiordania), Yossi Dagan, ha ordinato 200 fucili d’assalto del tipo Arad da consegnare a coloni in Cisgiordania. La guerra a Gaza, conclude il giornale economico, «ha catturato l’intera industria bellica israeliana».

A Gaza, intanto, si pensa a come sfamare oltre due milioni di palestinesi che l’offensiva israeliana ha fatto precipitare in una crisi umanitaria devastante. Il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) ha consegnato il cibo necessario a più di 120 mila persone a Gaza durante la tregua, ma le quantità sono inadeguate per affrontare il livello di fame delle persone nei rifugi e nelle comunità dell’Onu. «Quello che vediamo è catastrofico. C’è il rischio di carestia e fame sotto i nostri occhi e per evitarlo dobbiamo essere in grado di portare cibo su larga scala e distribuirlo in modo sicuro», ha raccontato Corinne Fleischer, direttrice regionale del Pam. «Sei giorni (di tregua) – ha aggiunto – non sono sufficienti per fornire tutta l’assistenza necessaria. La popolazione di Gaza deve mangiare ogni giorno, non solo per sei giorni». Dopo sette settimane di consumo inadeguato di cibo e acqua, avverte il Pam, è probabile che la popolazione di Gaza, in particolare donne e bambini, siano ad alto rischio di carestia senza un accesso continuo al cibo. Un allarme che è di nuovo caduto nel vuoto.