Si è concluso con una condanna all’ergastolo il primo processo per crimini di guerra – a Kiev – contro un soldato russo: il 21enne Vadim Shishimarin, accusato di aver ucciso un civile disarmato, Oleksandr Shelipov, il 28 febbraio. «Shishimarin era consapevole del fatto che Shelipov era un civile e non rappresentava alcuna minaccia», ha decretato il giudice Serhiy Agafonov, e ciononostante «obbedendo a un ordine criminale e in violazione delle convenzioni internazionali» gli ha sparato più volte alla testa.

PRIMA DEL VERDETTO, Interfax aveva riportato la «preoccupazione della Russia» espressa dal portavoce del Cremlino Dimitri Peskov in merito al processo, dato che Mosca non sarebbe stata in grado difendere gli interessi del suo militare. Un’arma a doppio taglio quella di tenere il processo in Ucraina, a guerra in corso, come scrive su The Conversation il docente di legge a Harvard Robert Goldman: «Celebrando il processo durante le ostilità, l’Ucraina corre il rischio che la Russia faccia altrettanto – e sottoponga i propri prigionieri alla giustizia russa». Esattamente quanto minacciato ieri dal leader separatista del Donetsk Denis Pushilin, che parla a Interfax della preparazione di un «tribunale speciale» per i soldati ucraini fatti prigionieri dopo la fine dell’assedio all’acciaieria Azovstal. La loro sorte però appare ancora incerta: il viceministro degli Esteri russo Andrey Rudenko apre invece alla possibilità di uno scambio di prigionieri che coinvolga anche quelli dell’acciaieria.

Sempre Rudenko, parlando con la stampa russa, ha detto ieri di aver ricevuto la proposta italiana per un piano che conduca alla pace: «Lo stiamo studiando» è stato il suo unico commento, a cui ha aggiunto che non ci sono state finora «discussioni» fra Mosca e l’Italia. Secondo il viceministro la Russia è pronta a tornare al tavolo delle trattative quando la leadership di Kiev fornirà «delle risposte costruttive» – un riferimento all’indisponibilità ribadita domenica dall’Ucraina a negoziati che mettano in discussione la propria integrità territoriale.

MA IL MINISTERO degli Esteri russo «non ha più niente a che fare con la diplomazia. Solo con le bugie, l’odio e la propaganda bellica» denuncia Boris Bondarev, il diplomatico russo con più anzianità alle Nazioni unite a Ginevra, nella lettera con cui ieri ha rassegnato le dimissioni. «Non mi sono mai vergognato tanto del mio Paese», scrive in un j’accuse contro l’invasione, i suoi effetti nefasti non solo sull’Ucraina ma sul popolo russo, e una leadership a cui interessa solo una cosa: «Restare al potere per sempre, vivere in palazzi pomposi e di cattivo gusto, navigare su yacht paragonabili per stazza e costi all’intera marina militare russa, godere di potere senza limiti e impunità totale».

Dimissioni lodate dal direttore di Un Watch, Hillel Neuer, che ha invitato gli altri diplomatici russi «all’Onu e nel mondo» a seguire l’esempio di Bondarev che – ha aggiunto – «dovrebbe essere invitato a parlare a Davos questa settimana».

E LA CATASTROFE globale della “crisi del grano” scatenata dalla guerra in discussione proprio al forum economico viene evocata ieri da Peskov, che citato da Reuters addossa le responsabilità della crisi all’Occidente: Mosca «è sempre stata un’esportatrice di grano affidabile. Non siamo noi la fonte del problema». «La Russia – gli fa eco su Twitter il diplomatico Mikhail Ulyanov, rilanciando il ricatto sulle sanzioni – si aspetta un raccolto di grano da record nel 2022. Siamo pronti a offrire l’export di 25 milioni di tonnellate di grano… Cosa offriranno gli Stati uniti?».

Intanto la Lituania ( che ritirerà il proprio ambasciatore dalla Russia il primo giugno), attraverso le parole del ministro degli Esteri Gabrielius Landsbergis durante l’incontro a Londra con la sua omologa britannica Liz Truss, propone la formazione una «coalizione di volenterosi» – una «missione umanitaria e non militare» in cui la Nato non dovrebbe giocare alcun ruolo – che scorti le navi nel Mar Nero al di là del blocco russo per prelevare il grano fermo nei silos ucraini. Sempre la Lituania, insieme a Slovacchia, Estonia e Lettonia, manderà oggi una lettera al ministero delle Finanze Ue che esorta a impiegare i beni congelati agli oligarchi per contribuire alla ricostruzione dell’Ucraina. Parallelamente, il parlamento di Kiev ha annunciato una nuova legge per sequestrare i beni dei sostenitori della guerra russa, e convertirli in «introiti statali».

DOMENICA l’assemblea aveva ricevuto la prima visita ” in presenza” di un capo di stato europeo: il presidente polacco Andrzej Duda che ha definito qualunque cedimento ai desiderata russi sul territorio ucraino un «colpo terribile» all’Occidente. Il fronte europeo continua però a essere freddo in merito all’ingresso di Kiev nella Ue: «Dobbiamo essere onesti, se diciamo che l’Ucraina entrerà nell’Unione in sei mesi, un anno o due, sarebbe una bugia», ha detto in un’intervista il segretario francese degli affari europei Clément Beaune. «Ci vorranno probabilmente 15 o 20 anni». Ma nessuno si tira indietro sull’invio di armi: a un incontro “virtuale” per coordinare gli aiuti militari a Kiev 20 paesi (fra cui Italia, Grecia, Norvegia e Polonia) hanno concordato – ha detto il segretario della Difesa Usa Lloyd Austin – nuovi «pacchetti» di armamenti da destinare all’Ucraina.