Prima il negazionismo della caccia allo straniero dei neonazi a Chemnitz; poi le informazioni sensibili girate sottobanco ai fascio-populisti di Alternative für Deutschland. Hans Georg Maassen, presidente del BfV (il controspionaggio federale) è al centro della bufera dopo l’evidenza delle sue attività tutt’altro che impeccabili sotto il profilo istituzionale e della sicurezza.

Ieri la Spd ha chiesto le sue immediate dimissioni dopo la prova del suo incontro del 13 giugno con Stephan Brandner, presidente della commissione legale del Bundestag e influente esponente di Afd.

«Abbiamo parlato per un’ora del numero di perpetratori islamici in Germania prima che il rapporto del BfV diventasse pubblico» confessa Brandner. Da qui la denuncia di Boris Pistorius, ministro dell’Interno della Bassa Sassonia: «Se è vero, Maassen non può rimanere al suo posto» tuona il politico socialdemocratico.

Con lui il numero due della Spd, Ralf Steigner, durissimo contro «il primo difensore della Costituzione che, minimizzando le azioni degli estremisti di destra, ha già danneggiato la democrazia». Il riferimento corre alla clamorosa negazione del raid razzista di Pegida e Afd a Chemnitz dopo la condanna della cancelliera Merkel. Per Maassen nella città sassone «non c’è stata alcuna caccia all’uomo».