Se il Brasile ha ora avuto il suo assalto al Campidoglio, il rischio di propagazione di atti eversivi è sempre più alto in America Latina. Il consolidamento del bolsonarismo emerso alle ultime elezioni è infatti solo l’espressione più evidente di un’ascesa dell’estrema destra tanto irresistibile quanto minacciosa.
Nella vicina Argentina, era già stato l’attentato del 2 settembre scorso contro la vicepresidente Cristina Kirchner (fallito per puro caso) a far scattare l’allarme sul pericolo che il fascismo latinoamericano possa rialzare la testa. Non per niente le forze di estrema destra sono cresciute così tanto e così rapidamente da poter ambire a un ruolo da protagoniste alle elezioni di quest’anno: un recente sondaggio indica il loro leader, l’economista ultraneoliberista Javier Milei, come il candidato che genera più speranza.

CRITICO FEROCE di quello che chiama «marxismo culturale», Milei non si è pronunciato solo a favore di una completa deregolamentazione del sistema finanziario, ma si è anche scagliato contro le minoranze sessuali, ha definito l’emergenza climatica «un’altra delle menzogne del socialismo» e ha persino messo in discussione il numero di desaparecidos durante la dittatura. E anche all’interno della destra più tradizionale di Juntos por el Cambio a conquistare terreno sono in realtà le posizioni più radicali di Patricia Bullrich, il cui programma prevede nientedimeno che l’eliminazione dei programmi sociali e l’ampliamento della partecipazione delle forze armate nei conflitti interni.

Non va meglio in Cile, dove l’estrema destra, uscita rafforzata dal trionfo del “Rechazo” al referendum sulla nuova costituzione, si raccoglie intorno a José Antonio Kast, il candidato sconfitto al ballottaggio da Boric. Contrario all’aborto senza eccezioni, ostile ai migranti e ai mapuche e deciso a ridurre il ruolo delle donne a una dimensione familiare e privata, a eliminare qualsiasi traccia di politica a favore delle minoranze sessuali e a sopprimere la gratuità dell’insegnamento superiore, Kast non ha esitato tuttavia a congratularsi con Boric dopo la sua sconfitta.

UNA CONDOTTA insolitamente democratica, la sua, nel contesto di un’estrema destra latinoamericana a vocazione inguaribilmente golpista. Come, in maniera esemplare, si è confermata, in Perù, quella fujimorista e anti-comunista, la quale, non avendo potuto scongiurare la vittoria di Pedro Castillo sulla base di accuse di brogli inverosimili quanto quelle bolsonariste, gli ha di fatto impedito di governare: un’azione di logoramento tradottasi in tre mozioni di impeachment, una denuncia costituzionale per «tradimento della patria» e sei indagini per corruzione. Anche se, per quanto l’anelata destituzione di Castillo sia stata infine raggiunta, l’estrema destra si trova ora alle prese con un ostacolo che non aveva previsto: la rabbia incontenibile del popolo peruviano, di tutti i «cholos de mierda» che avevano confidato nell’ex maestro rurale e che ora non sono disposti ad accettare il ritorno degli stessi di sempre.

Che il vero antidoto all’ascesa dell’estrema destra sia la mobilitazione popolare era emerso del resto con chiarezza dalla resistenza della popolazione boliviana al governo golpista di Jeanine Áñez (ora in galera), culminata con la vittoria alle elezioni del 2020. Una batosta di fronte a cui la ricca élite bianca di Santa Cruz non si è comunque ancora rassegnata, se è vero che, dal ritorno della democrazia, ha già creato diverse azioni di destabilizzazione contro il governo Arce, l’ultima delle quali, ancora in corso, è seguita all’arresto del governatore di Santa Cruz Luis Fernando Camacho, uno degli indiscussi protagonisti del golpe del 2019.

L’ESTREMA DESTRA latinoamericana vuole comunque pensare in grande, guardando anche a quanto avviene in altre parti del mondo. Lo si è visto alla conferenza del 18 e 19 novembre, a Città del Messico, dell’Acción Política Conservadora, nata nel 1974 al fine di combattere il comunismo: vi hanno partecipato, tutti uniti nel nome di Dio, Patria e Famiglia, Eduardo Bolsonaro, Milei, Kast, il presidente del Guatemala Alejandro Giammattei, Steve Bannon, Lech Walesa, il leader di Vox Santiago Abascal, solo per citare qualche nome.