Nel luglio 2014 il quartiere di Shujayea a Gaza City divenne il simbolo dell’offensiva Margine Protettivo. Per giorni rimase inaccessibile a giornalisti internazionali e soccorsi medici, giorni di bombardamenti israeliani a tappeto e carneficine. Quando i reporter entrarono la gente del quartiere gli gettò addosso tutta la rabbia per un abbandono obbligato.

Di Shujayea non restava quasi nulla: nei mesi successivi, dopo la fine dell’offensiva, era inutile anche farsi accompagnare dentro da chi ci abitava: non riconoscevano le strade, non ritrovavano le loro case. Il cumulo di macerie non aveva soluzione di continuità.

SHUJAYEA è stata ricostruita, per essere distrutta di nuovo, un circolo di scomparse e resurrezioni che per molte comunità palestinesi è diventato «normalità». Succede nei villaggi beduini in Naqab, in quelli nell’Area C della Cisgiordania.

A Gaza, negli ultimi 17 anni è successo almeno sei, sette volte. Ieri su Shujayea, 100mila abitanti in sei chilometri quadrati prima del 7 ottobre, è tornata la stessa pioggia di fuoco vista nel 2014 e di nuovo nei primi mesi del 2023. All’aviazione israeliana si sono aggiunti i carri armati che hanno invaso il quartiere, accompagnati da ordini di evacuazione contraddittori. Alcune aree erano definite sicure, altre no, ma erano troppo vicine e intrecciate le une alle altre per poterle considerare un «rifugio».

Ed è successo tutto in fretta, un attacco a sorpresa (annunciato dai volantini con appena mezz’ora di anticipo) e durissimo, «come non si vedeva dall’inizio della guerra», dice Nouh al-Sharnoubi, della protezione civile.

A migliaia sono scappati verso sud, altri hanno cercato rifugio in una scuola dell’Onu, che di per sé non è garanzia di salvezza ma che è tra i pochi edifici ancora in piedi. «L’esercito israeliano ha pubblicato una mappa con le aree pericolose – riporta il giornalista di al Jazeera Tareq Abu Azzoum – Nei primi giorni di guerra, l’esercito israeliano ha operato a Shujayea con brigate di terra e forze da combattimento. Ora sembra che l’esercito abbia iniziato una nuova operazione. La vera domanda è: dove dovrebbe andare queste persone?».

I RAID a tappeto in notturna hanno impedito ai soccorritori di raggiungere i feriti, va sapere la protezione civile di Gaza. Il bilancio delle vittime è ignoto, si parla di decine di uccisi e feriti ma numeri precisi non ce ne sono ancora. Tra loro donne e bambini. «

Hanno bombardato il quartiere così tanto che la casa tremava, come un terremoto – ha raccontato Rajab Rifi, papà di due bambini, a Middle East Eye – Hanno già distrutto tutto, non c’è altro da distruggere. La mia famiglia è stata sfollata già sette volte».

«Stiamo camminando senza sapere dove andare – racconta a Mee Akram al-Mamlok, uno sfollato – Molti miei cugini sono dispersi ma nessuno osa andare a cercarli, i tank e i droni sparato a tutti indiscriminatamente». Scontri con i combattenti palestinesi sono in corso, un ritorno dei gruppi armati che nel nord e nel centro ha dimostrato ancora una volta le difficoltà dell’esercito israeliano e di un governo che non riesce a definire una chiara strategia militare e politica. L’unica è la devastazione, con Shujayea che si avvia verso lo stesso destino di Jabaliya, il campo devastato nell’autunno scorso e che a maggio ha visto il ritorno dell’offensiva terrestre. Oggi non è un luogo adatto alla vita.

Nelle stesse ore, mentre una trentina di pazienti oncologici riuscivano finalmente a lasciare Gaza per ricevere cure salvavita in Egitto (passando dal valico di Kerem Shalom, quello di Rafah è chiuso dal 6 maggio), una bambina moriva per malnutrizione nell’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahya. Sono 31 i bambini palestinesi morti per fame e sete a Gaza, sei solo nell’ultima settimana.

A Khan Younis l’aviazione israeliana ha colpito una scuola, affermando si trattasse del «quartier generale di Hamas», da cui sono stati «pianificati e diretti molti attacchi» contro i soldati che occupano la Striscia.

IL BILANCIO delle vittime palestinesi tocca quota 37.765, le persone identificate o di cui si sono trovati i corpi. Di almeno altre 10mila non si sa più nulla. Intanto in Cisgiordania ieri è stata un’altra giornata di arresti e invasioni militari (secondo i dati raccolti da al-Jazeera si stima una media di 38 raid al giorno). A Jenin, dove l’esercito è entrato di nuovo nella notte tra mercoledì e giovedì per arresti e demolizioni, un soldato israeliano è stato ucciso e altri 16 feriti in un’esplosione.

Tensione alle stelle anche nel sud del Libano. L’esercito israeliano ha pubblicato video di esercitazioni militari e simulazioni di combattimenti terrestri nel nord di Israele. Esercitazioni che non bastano al controllore di Stato israeliano Matanyahu Englman che in una lettera all’ufficio del primo ministro ha definito il paese impreparato all’evacuazione di massa del nord in caso di conflitto aperto con Hezbollah.