Hanno tentato di uccidere nella culla il referendum per la legalizzazione della cannabis, per fortuna senza riuscirci. Ieri in prima commissione alla camera la Lega ha provato a cancellare quella norma che ha consentito di raccogliere le firme e – soprattutto – i certificati elettorali necessari per il referendum che depenalizza la coltivazione della cannabis. Una proroga di un mese (da fine settembre a fine ottobre) voluta anche dal partito di Salvini, che del resto ne ha goduto per i “suoi” referendum sulla giustizia. Ma ai leghisti è balenata la possibilità di annullare tutto a cose fatte, cambiando le regole in maniera retroattiva. Forza Italia pareva disposta a seguire gli alleati, insieme naturalmente a Fratelli d’Italia, per cui anche su questo fronte si è vissuta una giornata agitata. Conclusa in serata con un voto in commissione che ha respinto l’assalto, grazie anche alla collaborazione passiva di Forza Italia che alla fine si è astenuta.

Breve riepilogo per inquadrare il caso. A metà luglio un emendamento della Lega aveva spostato il termine per la raccolta e deposito delle firme e dei certificati elettorali in appoggio alla richiesta di referendum dal 30 settembre (scadenza fissata per legge dal 1970) al 31 ottobre in ragione delle difficoltà legate alla pandemia. I leghisti (con i radicali) hanno avuto più tempo per i loro sei quesiti sulla giustizia, anche se alla fine non hanno presentato le firme (senza essere in grado di spiegare bene perché) e i referendum li hanno fatti chiedere dai consigli regionali. Alla stessa proroga di un mese, ma con un successivo decreto, hanno avuto accesso i promotori del referendum sulla cannabis (e di quello sulla caccia) che al contrario avevano sicuramente raccolto le 500mila firme necessarie e molte di più (grazie al boom di firme online) ma erano stati bloccati dai ritardi nei comuni nel fornire i certificati elettorali dei sottoscrittori. A fine settembre i promotori del referendum cannabis avrebbero potuto ugualmente depositare le loro firme in Cassazione senza alcuna proroga, contando sul fatto che la irregolarità dei certificati elettorali, imputabile ai comuni, poteva essere sanata successivamente. Avrebbero in questo modo prodotto un precedente importante, ma hanno prudenzialmente scelto di approfittare della proroga fino a fine ottobre. Il referendum cannabis dunque è stato regolarmente chiesto solo grazie al decreto legge 30 settembre 2021 n° 132 che è adesso in fase di conversione alla camera.

I ministri della Lega si erano astenuti dal votare questo decreto in Consiglio dei ministri, perché ostili nel merito alla legalizzazione della cannabis. Ed eccoci così al tentativo della Lega di cancellare la proroga nella legge di conversione del decreto. Tentativo annunciato, eppure nei giorni scorsi la maggioranza non si era molto preoccupata, contando sul fatto che gli effetti giuridici del decreto legge, regolarmente in vigore al momento del deposito delle firme con proroga, sarebbero stati salvaguardati anche in caso di mancata conversione della norma specifica. Proprio per questo l’emendamento soppressivo era stato giudicato un atto di testimonianza e in quanto tale i deputati di Forza Italia erano orientati ad associarsi ai leghisti. Per non farsi scavalcare da Salvini nella propaganda proibizionista e anche per dare un colpetto ai ministri del partito, che aveva o condiviso il decreto in Consiglio dei ministri al contrario dei colleghi della Lega. È noto infatti che i rapporti tra il partito di Berlusconi e la sua delegazione al governo sono quantomeno tesi.
Raggiunta invece ieri mattina la certezza che l’approvazione dell’emendamento soppressivo avrebbe messo fuori gioco la richiesta di referendum (per sanare gli effetti giuridici di un decreto non convertito serve infatti un’altra legge), il relatore Ceccanti e il promotore del referendum Magi hanno suonato l’allarme in commissione e fuori. Più volte rinviato anche a causa dei concomitanti lavori d’aula, il voto è arrivato in serata e l’emendamento di Lega e Fratelli d’Italia è stato respinto. I leghisti hanno promesso che ci riproveranno in aula. Ma in aula, soprattutto su questi decreti Covid, il governo è abituato a mettere la fiducia.