Non era mai successo nella storia della Colombia che un candidato progressista vincesse il primo turno delle elezioni presidenziali. C’è riuscito solo Gustavo Petro, in coppia con la leader afrocolombiana Francia Márquez, ottenendo il miglior risultato della sua carriera politica: 8 milioni e mezzo di voti, quasi il doppio di quelli incassati al primo turno delle elezioni del 2018. Eppure potrebbe non bastare. Al ballottaggio del 19 giugno, l’outsider Rodolfo Hernández potrà infatti contare sul sostegno di tutte le altre forze politiche, meno spaventate dal “Bolsonaro colombiano” che dalla coppia Petro-Márquez. Ne abbiamo parlato con Alberto Yepes, coordinatore dell’Observatorio de Derechos Humanos y Derecho Humanitario in Colombia.

Si può parlare, per la sinistra, di un risultato agrodolce?
Il voto esprime la stanchezza della popolazione colombiana nei confronti della politica tradizionale – rappresentata in particolare dall’uribismo – e la sua volontà di voltare pagina. L’affermazione del candidato di sinistra con oltre il 40% dei voti rappresenta il desiderio da parte dei settori popolari di una politica in grado di rispondere alle necessità urgenti della popolazione, di combattere la corruzione dilagante, di reindirizzare il paese lungo la via del processo di pace, di salvaguardare i diritti umani.

Anche il secondo classificato, l’ingegnere Rodolfo Hernández, si presenta come candidato anti-establishment, ma sui cambiamenti che propone non c’è alcuna chiarezza. Il suo unico argomento è la lotta contro i corrotti, per quanto lui stesso sia indagato per corruzione. Ha svolto tutta la sua campagna su TikTok e Instagram con il supporto di specialisti del marketing, rifuggendo dai dibattiti pubblici e utilizzando un linguaggio rozzo, volgare e aggressivo. Si mostra incline al pragmatismo e insofferente verso la legge. Si è persino dichiarato ammiratore di Hitler per la sua capacità di imporre le proprie decisioni senza condizionamenti di alcun tipo.
Ricorda molto da vicino Bolsonaro. Ed è su di lui che, il 19 giugno, punteranno le élite in funzione anti-Petro.

Già forte di oltre il 28% dei voti, Hernández potrà contare in massima parte anche sul 23% del candidato di estrema destra Fico Gutiérrez. Per Petro la strada non appare in salita?
È una sfida difficile, ma non impossibile. Almeno nella misura in cui riuscirà a convincere una parte di quanti si sono astenuti, cioè quasi la metà della popolazione, e a far leva sui giovani, i quali realmente, come ha mostrato anche il paro nacional di aprile e maggio del 2021, possono imprimere una nuova direzione al paese.

Le élite faranno di tutto per impedire la vittoria di Petro e di Márquez…
Poiché i sondaggi indicavano che, in un eventuale ballottaggio tra Petro e Fico Gutiérrez, il candidato di estrema destra sarebbe stato sconfitto, nelle ultime settimane le élite hanno cambiato strategia, concentrando la compravendita di voti – una pratica assai radicata in Colombia – su Hernández, un outsider che offriva il vantaggio di rispondere in una certa misura alla richiesta corale di cambiamento, ma senza minacciare realmente gli interessi dell’oligarchia.

Come ha influito sulle elezioni il più violento clima pre-elettorale degli ultimi 12 anni?
Le élite hanno alimentato nel paese una violenza estrema, creando una situazione umanitaria drammatica. Lo si è visto bene durante il paro armato decretato il 5 maggio dal Clan del Golfo, che si è concluso con un bilancio di 12 morti e di quasi 200 veicoli dati alle fiamme. Per quattro giorni i gruppi paramilitari hanno diffuso il terrore tra la popolazione del nord del paese, paralizzando più di cento municipi di 11 dipartimenti e aggredendo e torturando le persone che osavano uscire in strada, mentre le forze di sicurezze non facevano il minimo tentativo per impedire il controllo armato di questi gruppi: hanno incrociato le braccia e guardato da un’altra parte. In molte regioni i paramilitari hanno impedito a Petro e Márquez di fare campagna elettorale, obbligando la popolazione a ritirare volantini e manifesti a favore del Pacto Histórico. E, specialmente nel nord del paese, molti hanno rinunciato a recarsi alle urne. È evidente che si sia cercato di creare una situazione di terrore per condizionare il risultato elettorale.

L’uribismo però sta perdendo il suo potere…
Perlomeno non ha più la capacità di portare un proprio candidato al governo. È per questo che ha deciso di puntare su Hernández, confidando nella sua capacità di parlare alla pancia degli elettori.

Si parla persino di un golpe. Esiste davvero questo pericolo?
Sì, è un’eventualità da non scartare, soprattutto a fronte dell’attuale politicizzazione delle forze armate, espressa, per esempio, dalle critiche rivolte a Petro, durante la campagna elettorale, dal comandante dell’esercito, il generale Eduardo Zapateiro. O, ancor peggio, dalle dichiarazioni che avrebbe fatto al giornalista Felipe Zuleta Lleras un generale, di cui non è stata rivelata l’identità, secondo cui, in caso di vittoria del candidato progressista, i militari lascerebbero che la violenza dilagasse nel paese senza intervenire – un po’ quello che è stato fatto con il paro armado – fino a provocare la caduta del governo. Si chiama «golpe de estado en seco».