«Serve una conferenza stile Helsinki»
La proposta per una pace duratura «Ingenuo pensare che l’invio di armi possa essere l’unica soluzione», afferma Gaetano Azzariti
La proposta per una pace duratura «Ingenuo pensare che l’invio di armi possa essere l’unica soluzione», afferma Gaetano Azzariti
La guerra non finisce con le armi ma con gli accordi e la comunità internazionale non sta facendo abbastanza sul piano della diplomazia. È a partire da questi dati di fatto che un gruppo di costituzionalisti e associazioni della sinistra chiede di indire una conferenza internazionale per la pace e la sicurezza. «Non vogliamo riaprire la polemica sull’invio di armi, ma constatiamo che quella non può essere l’unica soluzione. È ingenuo pensare di risolvere questo conflitto uccidendo il nemico sul campo», ha affermato ieri Gaetano Azzariti. Con lui Franco Ippolito, Claudio De Fiores, Maria Luisa Boccia e Alfonso Gianni, in un incontro organizzato da Centro riforma per lo stato, Fondazione Basso e Alternative per il socialismo.
«Helsinki e non Yalta» è il modello a cui guardano. Una conferenza multilaterale a tutela della coesistenza pacifica tra i popoli, come accadde nella capitale finlandese nel 1975, e non un incontro tra gli Stati più potenti per spartirsi le zone di influenza. La proposta è stata lanciata per la prima volta sul manifesto del 9 aprile, proprio da Azzariti. Una ventina di giorni dopo il capo dello Stato Sergio Mattarella ha utilizzato la stessa suggestione per indicare quale compito spetti oggi alla comunità internazionale.
Nessuno crede sia una via semplice o di rapida realizzazione. «Ma non lo era neanche 47 anni fa, durante la guerra fredda e il mondo diviso in blocchi» ripetono dal microfono. Del resto nemmeno la sconfitta militare di Putin sembra dietro l’angolo o priva di rischi. Anche perché la soluzione della crisi ucraina, per essere stabile e duratura, non può realizzarsi in un meccanismo di concessioni reciproche tra aggressore e aggredito, ma richiede una ridefinizione complessiva degli equilibri e delle relazioni internazionali in un mondo sempre più multipolare. Per fermare questa guerra ed evitare che altre ne esplodano.
L’appello a lavorare in questa direzione è rivolto in primis al parlamento italiano, ma senza troppe illusioni. Nel lungo processo di marginalizzazione di Camera e Senato la guerra ha segnato una nuova accelerazione. Sia verso il governo che nei confronti del Consiglio supremo di difesa. Soprattutto con la risoluzione, votata quasi all’unanimità, che ha trasferito all’esecutivo la gestione della crisi internazionale fino al 31 dicembre prossimo. «La tenuta del sistema democratico si basa sull’articolazione dei rapporti tra governo e parlamento. Non può esserci una fiducia in bianco. Il parlamento ha rinunciato ai suoi poteri ispettivi e di controllo», afferma De Fiores.
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