Si tiene oggi la terza udienza del processo contro Semih Ozakca e Nuriye Gulmen, insegnanti in sciopero della fame da 223 giorni per chiedere il reintegro sul posto di lavoro. Sono stati arrestati il 23 maggio, accusati di associazione terroristica e violazione delle leggi sulle manifestazioni. Rischiano fino a 20 anni di carcere.

Gulmen non sarà in aula perché ricoverata in stato di fermo all’ospedale Numune di Ankara. I medici che la seguono hanno dichiarato che il trasferimento avrebbe comportato un serio rischio per la sua vita. Una delegazione della corte l’ha incontrata tre giorni fa per registrarne in video la testimonianza.

La donna si è però rifiutata di rispondere: «Con la prima udienza i miei avvocati sono stati arrestati. A due giorni dalla seconda udienza sono stata trasferita in ospedale contro la mia volontà. Non sto fuggendo dalla mia difesa, ma chiedo che la corte ascolti le mie parole conformemente ai miei diritti. Non posso difendermi in queste condizioni».

Il ministro dell’interno Soylu aveva accusato i due insegnanti di essere collegati al gruppo armato di sinistra Dhkp-C. Nonostante nel 2012 siano già stati processati e prosciolti, nel 2017 sono stati licenziati.

Altre cinque persone, tra cui Esra Ozakca, compagna di Semih, sono agli arresti domiciliari e in attesa di processo per aver chiesto a loro volta il reintegro sul lavoro.

È stato invece arrestato due giorni fa Osman Kavala, importante uomo d’affari noto come il «Soros di Turchia» per le sue attività attraverso numerose Ong. Ancora non chiari i motivi dell’arresto, ma fonti del ministero dell’interno avrebbero suggerito che Kavala verrà interrogato su alcuni incontri tenuti poco prima del tentato golpe.

Kavala è una figura controversa negli ambienti governativi: mediatore durante il processo di pace turco-curdo su indicazione di Ocalan, è anche noto per i suoi collegamenti imprenditoriali con l’esercito turco. In favore dell’immediata scarcerazione di Kavala si è mossa la rappresentante del Parlamento europeo per la Turchia, Kati Piri.

La 35a corte penale di Istanbul ha intanto accettato le richieste della procura nei confronti di 11 attivisti arrestati durante un workshop sulla sicurezza informatica organizzato da Amnesty, tra cui figurano anche Idil Eser e Taner Kilic, direttrice e presidente di Amnesty Turchia.

Accusati di associazione terroristica, rischiano fino a 15 anni di carcere. La prossima udienza si terrà il 25 ottobre, mentre filtra un tiepido ottimismo sulla possibilità che alcuni possano essere scarcerati in attesa della conclusione del processo.

Un caso giudiziario particolarmente scottante riguarda le email hackerate del ministro dell’energia, Berat Albayrak, riguardo il suo supposto coinvolgimento in una compagnia di trasporto petrolifero, PowerTrans, operativa nel Kurdistan iracheno. Le email erano state trafugate dal gruppo RedHack e inoltrate ad alcuni giornalisti tramite Twitter.

Sei giornalisti sono oggi a processo per la loro divulgazione. La prima udienza si terrà il 24 ottobre prossimo, a quasi un anno dall’arresto. Soltanto di recente la procura ha formalizzato le accuse, sostenendo che il contenuto delle email può costituire «segreto di stato».

I giornalisti sono quindi accusati di divulgazione di segreto di stato e di aver cercato di creare a mezzo stampa una percezione negativa della politica energetica nazionale.

Ad oggi sono oltre 170 i giornalisti nelle carceri turche e sul cui capo pendono accuse legate al terrorismo. Il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Muiznieks ha riferito alla Corte europea dei diritti umani che la detenzione di giornalisti in Turchia è in larga parte arbitraria a causa della vaghezza delle accuse contestate e della malleabilità delle leggi antiterrorismo.

Martedì tuttavia il parlamento turco ha esteso lo Stato di emergenza per altri tre mesi, prolungando così il regime speciale che sospende molti diritti individuali e collettivi.