Sembra la scena di un film già visto. Ieri il procuratore aggiunto di Agrigento, Salvatore Vella, ha aperto un’inchiesta sulla Sea Watch 3, la nave della ong tedesca che con 43 migranti a bordo naviga da sei giorni al largo di Lampedusa. La decisione di aprire un fascicolo nel quale si ipotizza il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che per il momento è a carico di ignoti, è stata resa possibile dallo sbarco avvenuto sabato scorso sempre a Lampedusa di una decina di migranti tra donne e bambini.

La stessa dinamica che il 17 maggio scorso, esattamente un mese fa, portò Vella ad aprire un’altra inchiesta nei confronti della Sea Watch che in seguito ha portato all’iscrizione sul registro degli indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina del comandante della nave, Arturo Centore. Ma anche all’ordine di sbarco dei 47 migranti che si trovavano a bordo e al sequestro, poi revocato, della nave. Una scelta, quella dell’ufficio guidato dal procuratore capo Luigi Patronaggio, che era stata pesantemente criticata da Matteo Salvini. «Sono pronto a denunciare per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina chiunque sia disponibile a far sbarcare gli immigrati irregolari da una nave fuorilegge. Questo vale anche per gli organi dello Stato: se questo procuratore autorizza lo sbarco, io vado fino in fondo», disse in quell’occasione il ministro degli Interni facendo riferimento a Patronaggio.

Anche se non è detto, non è però escluso che oggi possano ripetersi scene già viste un mese fa. La decisione della procura di Agrigento arriva dopo che in giornata si era avuta notizia, diffusa proprio dal Viminale, che il Tar del Lazio aveva respinto il ricorso presentato lunedì dai legali della Sea Watch 3 per chiedere la sospensione del divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane firmato il 15 giugno dai ministri Salvini, Toninelli e Trenta, consentendo così lo sbarco dei migranti che si trovano ancora a bordo e tra i quali ci sono ancora sei donne e tre minori non accompagnati. «Non abbiamo ancora ricevuto nulla e anzi ci sembra inusuale che altri vengano a conoscenza di una decisione del tribunale prima ancora che ne siano informate le parti» è stato il commento di uno dei difensori della ong, l’avvocato Lucia Gennari. «Attendiamo di vedere il provvedimento – ha proseguito il legale – e poi valuteremo cosa fare, anche perché l’istanza di sospensione non è l’unico strumento a disposizione per ricorrere contro il provvedimento».

Intanto mentre le istituzioni dell’Unione europea continuano a tacere su quanto accade nel Mediterraneo, limitandosi a ribadire che la Libia non può esser considerata un porto sicuro dove sbarcare i migranti, un no secco alla politica dei porti chiusi del governo gialloverde arriva da Strasburgo, dove il Consiglio d’Europa ha chiesto uno stop della collaborazione con la Libia e uno scalo sicuro e «rapidamente accessibile» per la Sea Watch 3. «Sono molto preoccupata per l’attuale approccio del governo italiano sulla questione», ha detto la commissaria per i diritti umani, Dunja Mijatovic. «Le ong come Sea Watch sono cruciali per salvare vite in mare, specialmente dopo che i Paesi europei hanno lasciato un vuoto negli ultimi anni nella capacità di soccorso». Mijatovic ha poi sottolineato come «piuttosto che stigmatizzare, attaccare e criminalizzare le ong, bisognerebbe sostenerle: penalizzare loro o altri perché salvano vite in mare è contro la legge del mare e il diritto internazionale».

Prevedibile la risposta del ministro leghista ai rilievi del Consiglio d’Europa: «Per me il suo parere vale meno di zero. Noi stiamo collaborando con la Guardia costiera libica, forniamo uomini e mezzi e in alcune strutture libiche ci sono rappresentanti dell’Onu», ha detto Salvini. Che poi ha concluso: «In Italia con i mio permesso non arriva nessuno».