Poteva trovare la strada spianata dei secondogeniti, la legge per il divorzio breve. Dopo quell’epica battaglia del 1974 che segnò anche l’avvio di una svolta epocale nel campo dei diritti individuali, l’iter per introdurre anche in Italia ciò che nel resto d’Europa è un diritto acquisito da tempo poteva essere una passeggiata. E invece no. Ora che la commissione Giustizia della Camera è riuscita a unificare i cinque ddl presentati da Pd, Fi, Sel, M5S e Psi in un testo unificato (in sostanza: basterà un anno di separazione, o nove mesi per le separazioni consensuali e in mancanza di figli minori), e che il Guardasigilli Andrea Orlando propone di semplificare ulteriormente il processo bypassando l’udienza davanti a un giudice nei casi più facili, l’obiettivo di superare il primo scoglio parlamentare entro la fine di maggio (il 26 dovrebbe approdare in Aula) sembra quasi raggiungibile. Anche se la “Lega italiana per il divorzio breve” mostra, oltre che scarsa soddisfazione per il testo, anche poco ottimismo. Sull’home page del sito radicale, infatti, si ricordano i precedenti fallimenti: «Nel 2003 il testo arrivò in Aula alla Camera e fu impallinato. Nel 2008 si sciolse la legislatura prima che il testo approvato in commissione riuscisse ad arrivare in Aula, questa volta a Palazzo Madama. Nel 2012 il testo approvato in commissione fu depennato dall’odg dei lavori della Camera e si arrivò al 2013 con la fine della legislatura e un nulla di fatto».

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Insomma, 40 anni che sembrano passati invano. E se chiediamo come è cambiato da allora questo Paese a Marco Pannella – che ora come allora usa il proprio corpo, e sta mettendo a repentaglio la propria vita per combattere, in questo caso, l’illegalità in cui si trova il sistema penale italiano – l’anziano e sofferente leader radicale (ancora peraltro in convalescenza per i postumi dell’intervento chirurgico subito) pone l’accento su «un processo di putrefazione», nell’apparato burocratico dello Stato e in certe istituzioni, che «noi Radicali abbiamo individuato e sicuramente ritardato», ma che oggi «continuiamo a rappresentare» «isolati e contrastati, più di allora». Pannella ce l’ha soprattutto con Matteo Renzi, che considera «molto peggio» di quei comunisti che negli anni ’60 e ’70 ritenevano i diritti civili «lussi borghesi».

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Al fianco di Pannella, allora, c’era Gianfranco Spadaccia, altro protagonista radicale di quelle gloriose battaglie: «Berlinguer avrebbe preferito svuotare la legge Fortuna e evitare il referendum – ricorda –. Per due motivi: non voleva la rottura col mondo cattolico ed era convinto che avremmo perso». E invece vinsero tutto: «In quegli anni – continua Spadaccia – abbiamo ottenuto il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, la riforma dei tribunali e dei codici militari (c’era ancora la pena di morte e non c’era l’indipendenza della magistratura militare), la chiusura dei manicomi, il voto ai diciottenni, l’abolizione del delitto d’onore, la depenalizzazione del consumo di droghe, la legalizzazione dell’aborto e la riforma paritaria del diritto di famiglia, che fu una cosa epocale. E su un altro versante, anche lo statuto dei lavoratori. Insomma, nel giro di pochissimo tempo in un Paese in cui le riforme non si fanno mai, fu una vera rivoluzione culturale. Che trasformò un Paese rurale in metropolitano, da agricolo a industriale: ciò che in altri Paesi si era verificato in un secolo da noi è cambiato nel giro di una generazione». Il problema, in casa comunista, riguardo il divorzio e più in generale i diritti civili, lo fotografò Natta in un incontro privato con lo stesso Spadaccia. Che oggi lo racconta: «Mi disse: credo che ci sia ancora molta pruderie nelle dirigenze del Pci».

Mentre il problema in casa pannelliana è che «noi – riconosce colui che tra gli anni ’60 e ’70 ricoprì a più riprese la carica di segretario del Partito radicale – non siamo riusciti ad essere protagonisti anche della riforma del sistema politico italiano. E forse ci sono responsabilità soggettive, oltre che oggettive». «I sondaggi attuali – ragiona Spadaccia – dicono che sul piano dei diritti civili la società italiana nel suo complesso non è cambiata: l’opinione pubblica, anche negli strati più popolari, è molto più avanti della sua classe politica e della sua legislazione. Come confermano tutti i sondaggi sull’eutanasia o sulle droghe. Perfino sulla fecondazione artificiale avremmo potuto vincere il referendum: nonostante la difficoltà del tema e la confusione dei quesiti, il cardinal Ruini ha dovuto fare perno sull’astensionismo, altrimenti sarebbero stati battuti. Però l’immobilismo della classe politica, l’incapacità di scegliere non su basi ideologiche ma ragionevoli, impedisce di dare a questi problemi risposte efficaci».

Per capire meglio, aiuta tornare di nuovo indietro con la memoria: «Il discrimine fu il compromesso storico, che bloccò la possibilità di trasformare quella rivoluzione culturale in alternativa politica». Poi “Mani pulite” che, secondo Spadaccia, «è stato utilizzato per far fuori metà dello schieramento laico del Paese». E così, «rispetto alla prima Repubblica il mondo politico ha fatto un passo indietro».

Tutto nero? «No, oggi c’è una speranza di cambiamento – replica il dirigente radicale – e si chiama Papa Francesco. Che cerca di recuperare lo scisma sommerso di una parte del mondo cattolico, riavvicinandosi alla vita reale delle persone». Non c’è da meravigliarsi: «Noi siamo anticlericali, non anti religiosi. Anzi, c’è sempre stata nei Radicali una vena di spiritualità molto forte». Lo dimostra Marco Pannella, col suo Satyagraha. «Sono convinto – conclude Spadaccia –che nell’era di Bergoglio tornerà la differenza tra peccato e reato».