L’ordine di scarcerazione, il 25 gennaio, di 17 delle 25 persone in detenzione provvisoria e senza processo per l’esplosione al porto di Beirut del 2020 da parte del procuratore generale presso la corte di cassazione Ghassan Oueidate ha scatenato ieri l’ira dei familiari delle vittime, che hanno bloccato l’avenue Sami el Solh davanti al Palazzo di Giustizia nella capitale. Si sono registrati scontri con le forze dell’ordine, respingimenti con lacrimogeni e manganelli.

L’ESPLOSIONE avvertita fino a 200km di distanza, dovuta allo stoccaggio illegale dal 2014 di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio nel capannone 12 del porto di Beirut, causò nell’immediato oltre 200 vittime (242 se si contano quelle morte per le conseguenze), circa 7mila feriti, 300mila sfollati e lo sventramento di mezza città.
Il procuratore ha inoltre intentato un procedimento contro il giudice Tareq Bitar che indaga sui fatti del porto e che aveva ordinato gli arresti. Tutto ciò dopo che lunedì Bitar aveva annunciato l’intenzione di riprendere il processo dopo i tredici mesi di sospensione dovuti a forti pressioni politiche. Nella lista di Bitar compaiono infatti influenti rappresentanti dell’establishment politico libanese, oltre che autorità civili e militari. I suoi detrattori lo accusano di aver politicizzato il processo. Fu questa infatti la scintilla che il 14 ottobre 2021 provocò lo scontro armato (7 morti, 30 feriti) tra affiliati di Hezbollah e Amal – che protestavano proprio contro la politicizzazione di Bitar- e le Forze Libanesi nei pressi di Tayyoune, a pochi passi dal Palazzo di Giustizia.
Bitar ha definito le accuse di Oueidate illegali.

INTANTO il paese è nell’abisso più profondo. La lira ha subito l’ennesimo crollo al mercato parallelo: dopo aver sfondato il tetto delle 50mila per un dollaro (altra moneta ufficiale a cui la lira è agganciata a un tasso fisso formale, ma ormai irreale di 1507.05) ha superato in pochi giorni le 62mila. Dall’ottobre 2019 le banche hanno bloccato i conti e nel marzo del 2020 il paese ha dichiarato insolvenza. Dopo le grandi manifestazioni della Thaura (rivolta) scoppiata il 17 ottobre 2019 al grido di k’llun yanee k’llun (tutti vuol dire tutti) indirizzato alla classe politica in toto che ha portato il paese al collasso, la paralisi e l’assenza di provvedimenti per arginare la crisi ha provocato la più imponente onda migratoria dai tempi della guerra civile (1975-90).
Una classe politica corrotta identica da mezzo secolo che non si mette d’accordo sul nome di un presidente della repubblica a tre mesi dalle dimissioni di Aoun, oltre che su un nuovo esecutivo dalle elezioni del 15 maggio scorso. Il paese è infatti retto da un governo ad interim.
La svalutazione e l’inflazione fuori ogni controllo colpiscono soprattutto la classe media pagata in lire, mentre sia povertà assoluta che multidimensionale sono cresciute esponenzialmente.
Sono aumentati gli sbarchi clandestini di disperati libanesi e siriani rifugiati o che attraversano clandestinamente il labile confine: quelle verso Grecia e Italia sono ormai rotte trafficatissime.

IN QUESTI GIORNI proteste e blocchi a macchia di leopardo a Beirut, Saida e in altre zone del paese contro il continuo rincaro della lira e l’aumento dei prezzi sempre più proibitivo. I tagli all’elettricità sono adesso la nuova quotidianità e la copertura è più o meno solo di metà del fabbisogno giornaliero. Il ministro dell’Economia ha aumentato ieri per la seconda volta in 48 ore il prezzo del pane. La sanità è al collasso.Tutto nell’immobilità della classe politica chiamata a risolvere la crisi che ha creato.