Condannato ma ancora papabile: giovedì 30 marzo, Ousmane Sonko, presidente del partito PASTEF (“Patrioti africani del Senegal per il lavoro, l’etica e la fraternità”), sindaco di Ziguinchor e principale oppositore politico dell’attuale presidente del Senegal Macky Sall, è stato condannato per diffamazione a due mesi di carcere con sospensione della pena, e a una multa di 200 milioni di franchi CFA (circa 300 000 euro) di risarcimento al Ministro del Turismo Mame Mbaye Niang – da lui accusato di appropriazione indebita di fondi pubblici. Ciò non basta ad impedirgli di presentarsi alle elezioni presidenziali 2024; l’impossibilità di candidarsi prevede infatti una condanna a sei mesi con sospensione della pena.

Il processo a Sonko per diffamazione, rinviato tre volte – dal 2 al 16 febbraio, il 16 marzo e il 30 marzo 2023 – si è svolto in un contesto di disordini sociali e scontri fomentati da diverse fazioni di militanti a suo sostegno. Il 16 marzo, la capitale Dakar si è svegliata in parte militarizzata, con scontri violenti nelle strade tra forze dell’ordine e militanti, lacrimogeni, incendi – in particolare, quello appiccato al supermercato della catena francese Auchan di Mermoz; mentre nella regione della Casamance si conta una vittima. Eventi simili a quelli del 2021, quando però fu di 14 morti il bilancio degli scontri scaturiti dall’arresto di Sonko, accusato di stupro dalla massaggiatrice di un centro estetico.

Gli eventi con l’udienza del 16 marzo hanno assunto una piega rocambolesca e fumosa. Davanti al tribunale, un uomo incappucciato spruzza un liquido su Sonko che, una volta in aula, richiede la sospensione del processo e il trasferimento alla clinica Suma Assistance. Il Pastef grida al tentato omicidio, accusando le forze dell’ordine. Il procuratore Abdou Karin Diop richiede una perquisizione alla clinica, per avverare l’effettivo stato di salute di Sonko. Ma i medici coinvolti non si esprimono, invocando il segreto professionale. D’altro lato, è lo stesso procuratore a svelare l’identità dell’uomo incappucciato, identificandolo come Yarga Sy, militante dello stesso Pastef. Ma la dichiarazione del procuratore rimane per ora l’unica fonte. Altre vicissitudini riguardano il giudice Mohamed Diop, che ha desistito dall’incarico la sera del 29 marzo; e la schiera di avvocati di Sonko, con Ciré Cledor Ly, ricoverato in Francia per motivi di salute e, soprattutto, convocato per l’udienza del 30 marzo, il notissimo parigino Juan Branko, già avvocato di Julian Assange, Jean-Luc Mélanchon e i Gilets Gialli, respinto all’aeroporto di Dakar.

Gli effetti degli scontri del 16 marzo a Dakar (Ap)

L’udienza del 30 marzo, alla quale Sonko non si presenta per motivi di salute, si svolge in un clima meno bellicoso. Le manifestazioni previste nei pressi dell’Università Cheick Anta Diop di Dakar sono interdette – malgrado ciò, un giornalista dell’Afp, Magatte Gaye, viene picchiato dalla polizia. Vuoi per il Ramadan appena iniziato o per il verdetto assai conciliante, non si verificano ulteriori violenze.

Ousmane Sonko è un personaggio assai controverso, che si potrebbe qualificare, secondo diversi intellettuali senegalesi, come populista. Nel suo libro Soluzioni (2018) sprona a un «risveglio patriottico salvifico», un «Senegal di rifiuto, di progresso e di virtù». Un populista, tuttavia, prodotto dal sistema stesso di élites amministrative.

Classe 1974, figlio di funzionari, laureato in diritto pubblico all’università di Saint-Louis, integra l’Ecole Normale d’Administration (Ena), istituzione senegalese che sforna funzionari pubblici e politici, alla stregua della celebre Ena francese. Prosegue la sua carriera nell’amministrazione pubblica come ispettore dell’Agenzia delle entrate; nel 2016 viene radiato dallo stesso Macky Sall per mancato rispetto dell’obbligo di riservatezza. Dopo aver creato, nel 2014, il partito politico Pastef, Sonko è eletto deputato all’Assemblea nazionale nel 2017. Nel 2019, si candida alle elezioni presidenziali, che perde contro Macky Sall.

Il suo discorso politico può essere definito come conservatore e sovranista – per quanto apprezzato da una parte della sinistra senegalese in merito alla difesa della sovranità in chiave post-coloniale. Uno dei suoi principali cavalli di battaglia è, effettivamente, un forte posizionamento antifrancese, ivi compreso una critica radicale del franco CFA. Come spiega il giornalista Paap Seen, la Francia è infatti percepita da molti giovani come ipocrita e peccante di paternalismo – nonostante lo sforzo retorico messo in atto da Parigi ultimamente, centrato sul concetto di «partenariato da eguale a eguale». Sollecitando una rottura dei rapporti privilegiati di cui beneficia l’ex potenza coloniale, Sonko auspica una maggiore diversificazione dei partner economici e politici – processo che è poi, di fatto, già in atto.

Ousmane Sonko (Ap)

L’altro elemento centrale del discorso di Sonko è di matrice culturale e religiosa. Nonostante si distingua dalla maggioranza dei senegalesi come proveniente da un islam ortodosso non sufi, si è mostrato sempre più vicino alle confraternite tradizionali – in particolare, citando il Khalif generale dei Muridi (una delle confraternite più potenti) e avvicinandosi a diversi marabout. Con affermazioni di stampo retrogrado – la restaurazione della pena di morte o la criminalizzazione penale dell’omosessualità – si è guadagnato il sostegno dei movimenti più conservatori.

Sostenuto soprattutto da una gioventù senegalese non necessariamente precaria, e da una parte di popolazione contro «l’establishment corrotto», Sonko rimane dunque, ad oggi, uno dei candidati più papabili alle elezioni 2024. Si dovrà comunque confrontare con il secondo capo di accusa che pende su di lui, molto più grave, per stupro ripetuto e minacce di morte. Ma la data d’inizio di questo processo rimane sconosciuta.

In tutti i casi, questo primo processo Sonko, come preludio all’anno pre-elezioni che verrà, dimostra paradossalmente, secondo Hady Ba, professore di filosofia alla Cheick Anta Diop, che la democrazia senegalese rimane viva e vegeta. Sebbene Sonko abbia diffamato un ministro della Repubblica e invitato all’insurrezione sfidando l’autorità giudiziaria, ha ottenuto una sentenza che non lo priva dei suoi diritti civili.

Una democrazia potenzialmente ottenebrata, secondo gran parte dell’opinione pubblica, dall’ambiguità – ribadita in una recente intervista pubblicata sull’Express – di Macky Sall sulla sua possibile ricandidatura per un terzo mandato – o, come ormai assunto esplicitamente dai suoi partigiani, per un secondo quinquennio. Sall si è pronunciato difatti in modo netto sull’effettiva legittimità costituzionale della sua possibile candidatura, invocando la non-retroattività della riforma elettorale da lui stesso promossa, che fissa un limite di due mandati.