«Siamo un gruppo di sessanta migranti, ci troviamo a bordo di un gommone. Con noi ci sono venti donne e alcuni bambini piccoli. Siamo in difficoltà. Uno dei tubolari si sta sgonfiando a da quel lato comincia a entrare l’acqua». La telefonata arriva martedì sera al centralino di Alarm Phone, la piattaforma di volontari che raccoglie gli Sos dei migranti che si trovano nel Mediterraneo. A parlare è un uomo che dice di trovarsi su un gommone in avaria al largo delle coste libiche, all’altezza della città di Zawiya. «Diceva che volevano essere salvati anche se questo significava essere riportati in Libia, non avevano altra opzione», spiegano i volontari di Alarm Phone. Che cercano subito di mettersi in contatto con la Guardia costiera libica. «Lo abbiamo fatto via mail e provato a contattarla direttamente via telefono, ma non è stato possibile», proseguono. «Questo dimostra ancora una volta quanto siano non funzionanti le autorità libiche che, per undici ore, non sono state raggiungibili. Alle 23,41 abbiamo informato la Guardia costiera di Roma della situazione. Le autorità italiane hanno risposto che avrebbero informato le autorità libiche».

Dopo la prima telefonata Alarm Phone non è più riuscita a mettersi in contatto con il gommone. «Non abbiamo idea di cosa sia successo alla barca e alle 60 persone», twittava ancora ieri l’ong. «Speriamo che siano sopravvissuti, anche se questo significa essere di nuovo in un teatro di guerra». Una situazione che potrebbe essersi sbloccata nel pomeriggio quando, da Tripoli, il portavoce della Guardia costiera ha reso noto che un loro mezzo era impegnato nella ricerca del gommone. «È entrata in azione una nostra motovedetta per rispondere alla richiesta di soccorso e allo stato attuale non sappiamo ancora quante siano le persone a bordo dell’imbarcazione in difficoltà» ha detto l’ammiraglio Ayoub Qassem, portavoce della Guardia costiera che poi si è lasciato andare nella solita e inutile polemica con le ong: «La settimana scorsa abbiamo salvato quasi 400 persone – ha detto – nonostante i tentativi delle navi di alcune ong di intromettersi per poter portare i migranti in Italia».

Attualmente sono tre le navi di altrettante organizzazioni umanitarie impegnate a pattugliare le acque internazionali al largo della Libia. La prima a partire è stata l’Alan Kurdi della ong tedesca Sea Eye, seguita dalla spagnola Open Arms e, infine, il 2 giugno dalla Alex della piattaforma Mediterranea. Al contrario delle prime due, la Alex è attrezzata per prestare solo un primo soccorso alla persone che dovessero trovarsi in difficoltà. A tutte loro il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha rivolto il solito avvertimento: «Se cercheranno di entrare in Italia avranno lo steso trattamento della Sea Watch», ha detto il leghista nei giorni scorsi. Una minaccia che però, alla prova dei fatti, è risultata vana. Il 30 giugno Open Arms ha infatti segnalato 46 migranti che si trovavano su un barchino al largo delle coste libiche. Tratti in salvo da un pattugliatore della Guardia di finanza, la sera stessa sono stati sbarcati a Pozzallo e trasferiti nel locale hotspot.