Alle autorità egiziane che continuano a negare che Giulio Regeni sia «mai stato in una stazione di polizia o simili», né che sia «mai entrato in contatto con i servizi di sicurezza» se non per il visto di ingresso – smentendo così la notizia del suo arresto e del trasferimento in un famigerato compound della polizia cairota prima di essere ucciso, divulgata giovedì dalla Reuters – il governo italiano non risponde direttamente. Però ieri il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha ribadito che «se si pensa che col trascorrere del tempo rinunceremo a chiedere e a pretendere la verità sull’omicidio di Regeni, si sbaglia».

Un concetto già espresso più volte ma che ieri è stato rafforzato dalla prima dichiarazione pubblica di Martin Schulz sulla vicenda: «L’Unione europea sostiene l’Italia nella sua ricerca della verità», ha detto il presidente del Parlamento europeo durante una lectio magistralis all’Università per stranieri di Siena. E rafforzata anche dall’azione di lobbing esercitata dall’Università di Cambridge sul Foreign office britannico affinché faccia pressione sul governo egiziano: una via già aperta dal segretario di Stato Usa John Kerry che al Cairo, incontrando il presidente Al Sisi e le massime autorità egiziane, ha chiesto «un’indagine imparziale e completa» sull’omicidio del ricercatore friulano.

Ovviamente nessuno entra nel merito della veridicità delle testimonianze raccolte dalla Reuters, tre poliziotti e tre funzionari dell’intelligence sentiti in separata sede che affermano, pur con qualche contraddizione, che Giulio era prigioniero della polizia egiziana prima di essere ucciso. «Al di là delle valutazioni su queste notizie che non spetta al governo fare – precisa il capo della Farnesina – è comunque chiaro che ci confermano nella nostra posizione che abbiamo assunto in modo molto chiaro in queste settimane». Allo stesso modo Martin Schulz si limita a ricordare che «il Parlamento europeo si è già espresso» sull’«odioso e vile omicidio di Giulio Regeni», chiedendo alle autorità egiziane «di dar prova di trasparenza e di collaborazione». Ma così non è stato: «Finora hanno fallito la prova».

«L’Unione europea e il Parlamento europeo – ha promesso Schulz – continueranno ad essere vigili», perché Regeni «era un cittadino italiano ma anche un cittadino europeo». Ed è stato ucciso perché, come ricorda il presidente del Parlamento europeo, «giunto in Egitto, non si è fermato alle verità preconfezionate, si è dedicato allo studio del difficile e complesso mondo dei sindacati del Paese. Lo ha fatto in un momento in cui il discorso globale ed accademico sembra andare contro il movimento sindacale».

E proprio l’Università di Cambridge, per la quale Giulio svolgeva la sua attività di ricercatore, ieri ha organizzato una sit-in per appoggiare «tutte le richieste di giustizia», «per la famiglia Regeni e nell’interesse della libertà accademica». In una nota l’ateneo fa sapere di aver «scritto al governo italiano offrendo il suo continuo sostegno ed esprimendo quanto la nostra comunità sia sconvolta e disgustata da questo omicidio», e di aver «contattato il Foreign office» ed «espresso le nostre preoccupazioni al governo egiziano». L’ambasciatore italiano a Londra, Pasquale Terracciano, ha ringraziato la Cambridge University per la solidarietà manifestata ed ha testimoniato «la determinazione del governo italiano di andare fino in fondo» ricordando che per iniziativa della delegazione italiana oltre cento parlamentari del Consiglio d’Europa hanno sottoscritto una dichiarazione per richiamare l’Egitto, in quanto Paese firmatario della Convenzione contro la tortura, a collaborare pienamente all’accertamento dei fatti.

«Il governo sta facendo, ma deve fare molto, molto di più», ha esortato in un post su Facebook il governatore della Toscana e candidato alla segreteria del Pd, Enrico Rossi, presente a Siena alla cerimonia di conferimento della laurea honoris causa a Martin Schulz. «I giovani – ragiona Rossi – non devono pensare che siamo disposti a sacrificare la verità su uno di loro pur di fare affari con un Paese retto da un regime dittatoriale». A quei giovani però bisognerebbe anche spiegare perché l’Italia ricorda all’Egitto ciò che non riesce a far passare nel proprio Parlamento: ossia che «la tortura è crimine non soggetto a prescrizione», come recita la dichiarazione depositata all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, perciò va perseguito. Riconosciuto, normato e perseguito.