Elly Schlein. Mai come in questo momento il Pd appare in crisi. Che partito serve per l’Italia del 2023?

Serve un Pd che torni credibile agli occhi delle fasce più fragili e povere della società. Per farlo occorre una visione chiara sul futuro del paese, e un nuovo gruppo dirigente che abbia la credibilità per portarla avanti. Questa visione è già presente nella società, ha già coinvolto le nuove generazioni, mentre la politica è ancora in ritardo. Si basa tre nodi fondamentali: contrasto delle diseguaglianze, battaglia contro la precarietà e lo sfruttamento del lavoro e cura del pianeta. Le forze progressiste, non sono in Italia, non sono state finora in grado di anticipare le grandi trasformazioni che spaventano la società: climatica, tecnologica e demografica. Se non le guidiamo con politiche redistributive, queste trasformazioni avvengono lo stesso, ma le pagano sempre gli stessi: i più fragili. Io vorrei un Pd che si reimmerge nelle fratture della società.

Esempi concreti?

Il tema della casa, che è stato troppo sottovalutato. Servono più case popolari e più sostegno all’affitto, su cui questo governo ha già fatto gravi passi indietro. E poi investimenti di efficientamento energetico sul patrimonio edilizio, per abbassare bollette ed emissioni. In Emilia Romagna l’abbiamo fatto. Non ci sono compartimenti stagni tra queste battaglie, comprese quelle sul lavoro: il governo colpisce i più poveri abolendo il reddito di cittadinanza, aumenta la precarietà coi voucher, pensa di estendere i contratti a termine. Vivono in un altro paese. Cosa significa parlare di “persone occupabili” in alcune aree del sud? Che vuol dire insistere sulla natalità se non si vede che la precarietà e i bassi salari rendono difficile fare figli e spingono i ragazzi ad emigrare?

Da un mese lei gira per l’Italia. Cosa ha visto nel popolo del Pd e del centrosinistra?

Già nella campagna elettorale estiva avevo notato che sui temi che ho citato c’è molta consapevolezza. Anche per questo ho deciso di buttarmi e dare il mio contribuito. La stupirò: vedo un clima di entusiasmo, anche in un momento difficile. C’è una grande voglia di ritrovare una casa, passione e motivazione. Da nord a sud è come si ci fosse un ricongiungimento familiare tra i militanti che vogliono essere ascoltati, tante persone che, come me, si erano allontanate e che stanno tornando. E anche persone che si affacciano per la prima alla vita di un partito. Il mio compito è unire questi mondi.

Un congresso è anche rapporto con gruppi dirigenti, correnti, un risiko.

Per me è più naturale un dialogo con la base che con i gruppi dirigenti. Parliamo una lingua nuova che non tutti capiscono. Ma mi fa molto piacere ricevere il supporto di amministratori, parlamentari, dirigenti che vogliono unirsi a una sfida che non è solo di visione, ma anche di metodo. I problemi del Pd non solo stati solo di linea politica, e questo non si può più tacere: va cambiato il metodo di selezione delle classi dirigenti, ad esempio con le primarie per i parlamentari che superino la cooptazione delle correnti. Bisogna aprire un varco per donne e giovani, che si sono scontrati con dinamiche di gestione del potere respingenti. Vorrei ribaltare questo schema: è una scommessa, ma se ne sente il bisogno.

Dario Franceschini, uno dei big storici del Pd, sostiene lei. Dice che bisogna cambiare tutto. Che effetto le fa?

La nostra è una proposta di rottura dei vecchi schemi, e mi fa piacere che ne capiscano l’esigenza anche persone che hanno un percorso diverso dal mio. Vogliamo sanare le ferite, cambiare tutto nel nome di una visione più chiara e di un metodo diverso. Serve una forte discontinuità.

Uno dei temi rimossi dalla vita del Pd è il conflitto sociale. Nadia Urbinati e altri hanno provato a portare questo tema, insieme alla critica al neoliberismo, nel dibattito sul nuovo manifesto dei valori. Sono stati tacciati di estremismo.

L’errore è stato pensare che quel conflitto si fosse esaurito. La storia di questi anni dimostra che dobbiamo scegliere chi rappresentare: se vuoi essere tutto il suo contrario alla fine non rappresenti più nessuno. In tutta Europa le forze progressiste discutono di come superare un modello di sviluppo neoliberista insostenibile che alimenta le diseguaglianze e distrugge il pianeta. Su questo vorrei una discussione franca, che ammetta gli errori e le contraddizioni del nostro passato.

Nel suo partito non tutti condividono la critica al neoliberismo.

Se qualcuno pensa che in questi 15 anni sia andato tutto bene lo dica. Stiamo toccando i livelli di povertà più alti dal 2005, il lavoro è frammentato e impoverito, il pianeta rischia di diventare inabitabile. Qualcuno pensa che sia un approccio troppo radicale? Non lo pensa larga parte del mondo scientifico, dei giovani, della Chiesa. È la realtà che ci impone di cambiare il modello di sviluppo.

Come?

Via i contratti pirata, limitare quelli a termine come in Spagna, salario minimo a 9,50 euro l’ora. Scrivere le nuove tutele del lavoro digitale, come chiede anche la commissione europea. Ed è maturo anche il tempo di riflettere sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. La politica ha il dovere di redistribuire i vantaggi dell’innovazione tecnologica, lo stanno sperimentando, in Spagna, Belgio, Regno Unito. E poi stop alle trivelle, basta con le fonti fossili. Serve una legge per lo stop al con sumo di suolo, sostegno alle imprese green.

Su molti di questi temi c’è una forte competizione col M5S. Il Pd con lei potrebbe fermare l’opa di Conte?

Le elezioni le abbiamo perse tutti. Dal giorno dopo auspico una convergenza in Parlamento su alcuni temi come il salario minimo. Bisogna unire gli sforzi, altro che competizione. Non farlo sarebbe irresponsabile.

Se lei vince il Pd guarderà più ai 5 stelle? Calenda e Renzi vorrebbero allearsi con Bonaccini, non con lei.

La priorità è ridarci un’identità comprensibile e credibile. Poi vediamo chi ci sta. Io auspico la costruzione di un fronte largo, ma non mi stupiscono le parole di Renzi contro di me: sono uscita dal Pd in rottura con le scelte scellerate che ha fatto il suo governo. Questo non ha impedito di fare alleanze locali, dove c’era chiarezza di programmi, come a Bologna, dove il dato generazionale ci ha molto aiutato a superare le pregiudiziali politiche.

A livello nazionale resta un muro tra lei e il terzo polo?

Il Jobs Act resta un grave errore, e io intendo andare nella strada opposta. Con Zingaretti e poi con Letta i dem hanno già fatto passi avanti, che si sono visti nel programma elettorale: hanno consentito a quelli come me di tornare a dialogare. Ma le fratture con il i mondi del lavoro, della scuola e del terzo settore sono state molto pesanti. Anche sul tema dell’immigrazione. Il mio Pd non firmerebbe mai i memorandum con la Libia e abolirebbe una legge come la Bossi-Fini, che in vent’anni ha fallito su tutta la linea creando solo irregolarità e ricattabilità dei più deboli.

Lei cosa propone sull’immigrazione?

Al Parlamento Ue avevamo ottenuto una maggioranza sulla revisione del trattato di Dublino per una distribuzione più equa dei richiedenti asilo. Sono stati i paesi alleati con Meloni a farlo saltare. Questa destra se la prende coi deboli, costringe le navi delle ong a lunghi viaggi per approdare in porti lontani, una cosa disumana e illegale, ma con i forti come Orban tiene la testa bassa.

Lei parla di richiedenti asilo. Ma sui migranti economici che proposte ha?

Chi chiede protezione internazionale ha il diritto che la sua richiesta sia esaminata in Europa, non in Libia. Per i migranti economici serve un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, basta con le sanatorie ex post. Bisogna sapere chi arriva e dare il tempo per trovare il lavoro: ci sono molti settori in cerca di forza lavoro. E basta con la guerra alle ong che stanno sopperendo alla mancanza di una missione di ricerca e soccorso istituzionale, una Mare Nostrum europea.

Vuole dirci in cosa si differenzia da Bonaccini?

Sulla linea politica siamo molto diversi. Lui lo sa e per questo nel 2020 mi chiese una mano per impedire la vittoria delle destre in Emilia-Romagna. Abbiamo dimostrato di saper governare insieme e comporre queste diversità. Ma siamo distanti anche sul modello di partito che abbiamo in testa.

Si riferisce al lungo braccio di ferro sulle primarie online?

Sono contenta che si sia trovato un accordo. E che si sia aperto alla possibilità di votare anche online per allargare la partecipazione. Io credo che questo faccia parte di un’idea di partito che ha l’assillo di coinvolgere i più deboli che si sono rifugiati nell’astensione. –