Trovare il punto esatto, l’angolazione e l’inquadratura, dove cinquanta, cento o anche centocinquanta anni fa sono state scattate fotografie ai principali ghiacciai del mondo. Questa, una delle sfide del viaggio fotografico-scientifico Sulle tracce dei ghiacciai, ideato e diretto dal fotografo romano Fabiano Ventura. Durato 13 anni, ha raccolto, grazie alla tecnica della repeat photography – ovvero l’esatto confronto a distanza di tempo –, una delle più grandi testimonianze sul cambiamento climatico ora restituita al pubblico nella mostra Earth’s Memory – i ghiacciai, testimoni della crisi climatica di Fabiano Ventura al Forte di Bard, in Valle d’Aosta.

L’ESPOSIZIONE APRE DOMANI venerdì 17 giugno e presenta in anteprima mondiale i risultati del progetto. Ventura, dal 2009 al 2021, insieme a un team di registi e ricercatori, ha condotto otto spedizioni sui maggiori ghiacciai montani della Terra, ripercorrendo i passi e gli scatti dei primi fotografi ed esploratori di fine ‘800 e inizio ‘900: Karakorum (2009), Caucaso (2011), Alaska (2013), Ande (2016), Himalaya (2018) e Alpi (2019-2020-2021). Di quei viaggi sono stati scelti oltre 90 confronti fotografici, che sono esposti a Bard con immagini di grande formato e di altissima qualità, insieme a video, interviste e dati scientifici, in uno spazio di 700 metri quadri. La summa iconografica comunica in modo inequivocabile gli effetti del riscaldamento globale sugli ecosistemi, proponendo al visitatore un’obbligata riflessione sul rapporto che lega la specie umana all’ambiente naturale.

«NON DOBBIAMO SALVARE IL PIANETA – racconta Fabiano Ventura – ma noi stessi. Noi siamo natura, ma ce lo siamo dimenticato. Siamo l’unica specie che sta tagliando il ramo su cui vive, sfruttando le risorse in maniera non equa e non sostenibile». L’idea del progetto è maturata nei primi anni Duemila. «Mi resi conto che, seppure gli scienziati avessero lanciato l’allarme, i dati sul cambiamento climatico non erano riusciti a smuovere le coscienze. Mancava, inoltre, un progetto che unisse arte fotografica e scienza. Affascinato dalla repeat photography – precisa Ventura – ho incominciato a scavare negli archivi e nei musei di tutto il mondo e a coinvolgere la comunità scientifica (università e centri di ricerca). E, adesso, tutto il lavoro, che ha riportato alla luce foto mai viste rivelando zone di ablazione mai tracciate, è a disposizione della scienza per approfondire i fenomeni. Tutte le riprese sono state georeferenziate».

IL PROFESSOR CLAUDIO Smiraglia, glaciologo, già docente all’Università di Milano, è il coordinatore scientifico del progetto e definisce i ghiacciai, che hanno perso dalla metà del XIX secolo, con un incremento medio di poco più di un grado di temperatura, oltre il 50% della loro superficie, come l’orologio del cambiamento. Sono l’indicatore più evidente della crisi: «Un po’ come il canarino in gabbietta (canary in a coal mine) che un tempo i minatori di carbone portavano con sé in miniera per rilevare la presenza di gas letali come il grisù. E, nonostante i ghiacciai montani rappresentino una parte minima del ghiaccio terrestre, sono uno straordinario patrimonio di conoscenza, hanno condizionato lo sviluppo dell’homo sapiens e sono il simbolo e il sintomo dei nostri rapporti con l’ambiente che ci circonda. La glaciologia è diventata negli ultimi vent’anni una scienza interdisciplinare, lavoriamo, infatti, con botanici, microbiologi, storici».

OGNI GHIACCIAIO E’ DIVERSO e come gli esseri viventi reagisce differentemente agli stimoli ambientali. «I ghiacciai non sono corpi morti, ma organismi in perenne trasformazione – sottolinea Enrico Camanni, scrittore e alpinista, nell’introduzione alla mostra – I ghiacciai nascono, crescono, si trasformano, fondono e a volte muoiono. In una parola: vivono». Così ogni spedizione ha dato esiti specifici.

LA PRIMA SUL KARAKORUM, IL K2 degli italiani, cadeva nel primo anniversario di quella guidata dal Duca degli Abruzzi e con, tra gli altri, il fotografo biellese Vittorio Sella. «La salute di questa montagna dalla caratteristica roccia nera – spiega Ventura – è buona, non si registrano dal punto di vista glaciologico grosse differenze nel tempo. In Caucaso come nelle Alpi l’arretramento e il frazionamento sono, invece, evidenti. Il ghiacciaio del Tvuiberi, in Georgia, è smembrato in sei corpi glaciali diversi.

L’ATTUALE PARADOSSO E’ CHE NEL MONDO il numero dei ghiacciai aumenta ma solo perché si frammentano, diventano più fragili e l’alta montagna più pericolosa. La fusione è ancora più macroscopica laddove i ghiacciai finiscono in mare e, nell’arretramento, subentrano altre cause come la salinità dell’acqua o le correnti marine. Succede in Alaska e Patagonia, dove ci sono contrazioni di diverse decine di chilometri. In Alaska, nel Glacier Bay National Park, si sono fusi – precisa Ventura – 1572 chilometri cubi di ghiaccio che hanno fatto innalzare di un centimetro gli oceani di tutto il mondo. Un centimetro non è irrisorio ed è il tema di cui voglio occuparmi prossimamente. E, poi, siamo andati sulle nostre Alpi, dove, per esempio, Adamello e Marmolada sono in forte contrazione. Nell’Appenino il ghiacciaio più meridionale d’Europa, il Calderone sul Gran Sasso, è stato addirittura declassato a glacionevato».

LA MOSTRA HA RICEVUTO IL PATROCINIO dell’Unesco e vanta una collaborazione scientifico divulgativa con l’Esa (European Space Agency), che ha realizzato grafiche animate che presentano i risultati scientifici sulle immagini satellitari relative alle zone geografiche oggetto delle spedizioni.

CHE FARE ALLORA? PER IL PROFESSOR Smiraglia le azioni sono di due livelli: «Uno, generale, che considera il ghiacciaio parte dell’ambiente e dice che la fusione può essere ridotta intervenendo sulle cause del cambiamento climatico, a partire dall’inquinamento e dallo sfruttamento dei combustibili fossili. A livello locale, invece, ci viene in soccorso la glacio-ingegneria: il sistema di copertura con teli geotessili è stato sperimentato positivamente su ghiacciai antropizzati come il Presena o lo Stelvio, coperti d’estate, ma è impensabile estenderlo a tutti i ghiacciai del mondo. Con tutto questo patrimonio di conoscenza, sarà possibile confrontarsi fino al 18 novembre, a Bard.