Con la revoca dell’asilo politico a Julian Assange «per ripetute violazioni delle convenzioni internazionali e dell’accordo di convivenza», il presidente Lenín Moreno ha provveduto a dare anche l’ultima picconata all’eredità del predecessore Rafael Correa, che gli aveva concesso protezione il 19 giugno del 2012.

Non a caso, la reazione di Correa è durissima: Moreno «è il traditore più grande della storia ecuadoriana e latinoamericana», ha commentato da Bruxelles dove vive dal 2017, accusando l’attuale presidente di aver commesso «un crimine che l’umanità non dimenticherà mai».

Non si è trattato di un fulmine a ciel sereno: già il 4 aprile Wikileaks aveva scritto su Twitter che il suo fondatore sarebbe stato espulso dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra nel giro di «ore o giorni» e che a fornire il pretesto sarebbe stata la pubblicazione, il 25 marzo, dei cosiddetti Ina Papers, documenti da cui emergerebbe il ricorso di Moreno e della sua famiglia a paradisi fiscali. Secondo Wikileaks, la consegna di Assange alle autorità britanniche sarebbe servita a deviare l’attenzione dallo scandalo di corruzione che ha coinvolto il circolo familiare del presidente.

Sul caso Ina Papers è stata aperta il 30 marzo dalla procuratrice generale Ruth Palacios un’indagine preliminare che ruota attorno alla costituzione in Belize, nel 2012, da parte del fratello dell’attuale presidente, Edwin Moreno Garcés, di un’impresa offshore denominata Ina Investment corporation dalle ultime tre lettere dei nomi delle tre figlie di Lenín Moreno, all’epoca vicepresidente di Correa: Irina, Cristina e Karina.

L’impresa avrebbe poi aperto un conto segreto a Panama per l’acquisto di beni di lusso da parte di Moreno, sua moglie Rocío Gonzáles e le figlie, dalle Ferrari ai gioielli fino ad alcuni immobili, tra cui un appartamento di 140 metri quadrati ad Alicante, in Spagna.

Moreno ha reagito parlando di una campagna di diffamazione orchestrata dagli alleati di Correa che, da parte sua, ha infierito quanto più possibile definendo lo scandalo come uno dei casi di corruzione più gravi della storia dell’Ecuador, tanto più cinico in quanto il presidente «dopo il suo tradimento ha passato due anni a parlare di lotta alla corruzione».

«Ci sono già prove sufficienti perché Moreno non solo lasci la presidenza, ma finisca in galera», ha proseguito Correa, accusandolo di colpire Assange «per disperazione».

La revoca dell’asilo al fondatore di Wikileaks è solo l’ultimo capitolo di una guerra senza esclusione di colpi tra il presidente e il suo predecessore, iniziata già all’indomani dell’insediamento di Moreno alla presidenza nel 2017. Quando nessuno poteva prevedere che il nuovo presidente avrebbe finito per legare il suo nome a ciò per cui di certo non era stato eletto: il ritorno del neoliberismo, il riallineamento agli Stati uniti, la chiusura della sede dell’Unasur e ora anche la consegna alle autorità britanniche di Julian Assange.