Da una parte gli investimenti, dall’altra le navi militari. Da una parte il rapporto privilegiato con Pechino, dall’altra i progetti di espansione in Asia. La Germania, improvvisamente in cerca d’autore alla vigilia di un ancora nebuloso post Merkel, prova a ridefinire la sua identità geopolitica proiettandosi verso Oriente.

Tentativo che potrebbe creare qualche frizione con una Cina che a Berlino è sempre apparsa molto vicina, nonostante i tentativi degli Stati Uniti di allontanarla da un partner europeo mal sopportato durante l’amministrazione Trump e sempre sotto scrutinio del Pentagono, che nonostante la sfida cinese resta ostile a Mosca (e sodale della cintura europea nord orientale) per evitare una potenziale convergenza tra Germania (dunque Europa) e Russia.

Non è un mistero che, al tramonto del 2020, sia stata la cancelliera a dare l’improvvisa e decisiva accelerata che ha portato al Cai, l’accordo sugli investimenti tra Cina e Unione europea. Così come non è un mistero che l’economia tedesca sia profondamente interconnessa con il mercato cinese. Basti pensare che, nel 2019, era tedesco il 37% dei 560 miliardi di euro di interscambio tra Pechino e i paesi Ue. E nel 2020 le esportazioni della Germania verso la Cina (suo principale partner commerciale per il quinto anno consecutivo) sono aumentate nonostante la pandemia.

Con un mercato interno bloccato, sono stati i consumatori cinesi a sostenere i ricavi delle case automobilistiche tedesche.

Allo stesso tempo, la Germania ha l’obiettivo di diversificare i propri rapporti commerciali e diplomatici in Asia. Con questo obiettivo, a settembre 2020 il governo federale ha adottato le linee guida per l’Indo Pacifico. Il piano è di investire maggiormente nell’area, rafforzando le partnership coi paesi Asean e con potenze medie come Giappone e Australia. Poco prima della visita di Suga Yoshihide a Washington, si è tenuto il primo dialogo bilaterale 2+2 tra i ministri di esteri e difesa di Berlino e Tokyo. Citati tutti i dossier delicati per la Cina, dal Mar cinese orientale al Xinjiang. Ad agosto passerà per il Mar cinese meridionale una fregata tedesca, la prima dal 2002.

Non sarà l’unica nave europea a transitare per quelle acque, al centro di dispute territoriali in cui è coinvolta Pechino. Pochi giorni fa, la Francia ha guidato un’esercitazione navale (La Pérouse) nel golfo del Bengala, alla quale hanno partecipato le marine di tutti e quattro i paesi del Quad.

L’iniziativa francese prende il via nel 2018, quando durante un viaggio in Australia il presidente Emmanuel Macron parlò di una strategia dell’Indo Pacifico, regione nella quale Parigi conserva dei territori retaggio dei tempi coloniali. Lo stesso Regno Unito post Brexit guarda con attenzione all’area sia per interessi commerciali (con due accordi di libero scambio sottoscritti con Singapore e Vietnam), sia per obiettivi geostrategici (con l’invio della portaerei Queen Elizabeth).

Ma il dialogo, anche politico, nel triangolo Berlino-Parigi-Pechino resta fluido. Solo ad aprile, Merkel e Xi Jinping si sono parlati due volte. La prima da soli, la seconda insieme a Macron in un video summit sul clima in concomitanza con il viaggio di John Kerry a Shanghai. Secondo Xinhua, Merkel avrebbe rinnovato l’impegno a lavorare per la ratifica “il prima possibile” del Cai.

I due binari non sono in conflitto e la presenza europea nelle acque dell’Indo Pacifico non sono (ancora) un arruolamento alla causa anti cinese di Washington. Mentre l’Ue cerca faticosamente di raggiungere l’agognata “autonomia strategica”, è naturale, anche a livello bilaterale, cercare di rafforzare i legami con altre associazioni come l’Asean o con paesi come quelli asiatici interessati sì a ridurre la dipendenza dalla Cina e a tenerne sotto controllo i movimenti, ma senza recidere un legame che resta indispensabile.