«Il citato decreto è illegittimo». Lo stabilisce la giudice Maria Acagnino del tribunale civile di Catania con riferimento al provvedimento interministeriale di inizio novembre 2022, quello sugli «sbarchi selettivi» firmato da Matteo Piantedosi (Interni), Matteo Salvini (Infrastrutture) e Guido Crosetto (Difesa). Il 4 del mese, mentre le navi Humanity 1 e Geo Barents delle Ong Sos Humanity e Medici senza frontiere si trovavano in acque internazionali con centinaia di naufraghi a bordo, il governo dispose il divieto di sosta nelle acque territoriali. A eccezione del tempo necessario a far sbarcare i vulnerabili (minori, donne, famiglie e casi medici).

Sulla Humanity 35 naufraghi su 179, esclusi da tale categoria, furono trattenuti a bordo, attraccati al molo di levante del porto di Catania. Secondo le autorità italiane sarebbero dovuti tornare in alto mare, ma il capitano della nave rifiutò di riprendere la navigazione. Sono loro, originari di Egitto a Bangladesh, ad aver firmato il ricorso che ha sconfessato la prima mossa anti-Ong dell’esecutivo Meloni. La decisione del tribunale ricorda all’Italia l’obbligo di fornire assistenza a ogni naufrago «senza possibilità di distinguere, come sancito nel decreto interministeriale, in base alle condizione di salute». Richiama la sentenza della Cassazione sul caso Rackete per ribadire che il soccorso si conclude a terra. Chiarisce che il dovere di ricevere le richieste d’asilo è del paese dove avviene lo sbarco.

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Secondo i giuristi dell’Asgi e il senatore Pd Antonio Nicita, che si impegnò per far toccare terra a tutti i naufraghi, questo punto è importante anche per il «decreto Piantedosi» di gennaio 2023: dà torto al governo che vorrebbe coinvolgere gli Stati di bandiera delle navi umanitarie nella registrazione delle domande di protezione internazionale. Quel decreto arriva oggi alla Camera ed entro il 3 marzo deve essere convertito in legge (il governo ha messo la fiducia).

Finora ha fatto soprattutto rumore. Il suo unico effetto concreto è stato l’arresto di tre presunti «scafisti» dopo lo sbarco a Napoli della Sea-Eye 4 il 6 febbraio scorso. Due di loro sono stati liberati già il giorno seguente dal Gip. Per il resto il provvedimento non ha inciso nemmeno sui cosiddetti «soccorsi multipli» contro cui l’esecutivo aveva alzato un polverone mediatico promettendo di fermarli. Né la Geo Barents, né la Sea-Eye 4 sono state detenute al termine delle loro ultime missioni in cui hanno realizzato tre e due interventi. I prefetti, almeno finora ma hanno tempo 90 giorni, non hanno rinvenuto condotte illecite ai sensi delle norme sul soccorso in mare. Bloccare le navi, tra l’altro, avrebbe certamente provocato dei ricorsi e la sorte del nuovo decreto sarebbe potuta essere analoga a quella del vecchio. Sino ad oggi la magistratura ha dato ragione alle Ong in tutti i procedimenti.

La vera mossa anti-soccorsi è la nuova prassi di Viminale e Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo (Imrcc): assegnare il porto dopo il primo salvataggio, ma lontanissimo. Fino a 1.500 km di distanza. Contro di essa Msf ha presentato due ricorsi. Riguardano i recenti sbarchi a La Spezia e Ancona (dove ieri è stata indirizzata di nuovo la Geo Barents che ha soccorso 49 persone). Secondo l’Ong il ministero delle Infrastrutture, cui fa capo l’Imrcc, e quello degli Interni non hanno rispettato le normative internazionali che impongono di concludere i soccorsi «nel più breve tempo possibile». Inoltre quelle misure amministrative sono sproporzionate e non giustificate. Nelle prossime settimane sulla vicenda si pronuncerà il Tar del Lazio.