Sono 31.292 le persone sbarcate in Italia dalla mezzanotte del primo gennaio alle otto di ieri mattina. Le nazionalità prevalenti: Costa d’Avorio, Guinea, Pakistan, Egitto, Tunisia e Bangladesh. Poco più di 3mila i minori non accompagnati.

Nello stesso periodo del 2022 i migranti arrivati via mare erano un quarto: 7.928. Poco meno dell’anno precedente: 8.505. Da quando, il 21 ottobre scorso, si è insediato il governo Meloni gli sbarchi complessivi sono stati 59.509. Oltre il doppio della stessa finestra di tempo calcolata sui dodici mesi precedenti (23.901). Tutto il contrario di quanto promesso in campagna elettorale e nei primi mesi di governo. Trascorsi a dare la caccia alle Ong, incontrare autorità più o meno riconosciute nei paesi di transito, inasprire le pene contro gli «scafisti». Mosse illusorie, dettate da un’interpretazione sbagliata delle migrazioni internazionali e dalla vana speranza di far fronte a un fenomeno sociale complesso con gli strumenti penali o le deleghe a milizie e polizie non vincolate allo stato di diritto.

Grafico dell’Istituto per gli studi di politica internazionale

Prendiamo il dato delle Ong. Lo scorso anno, calcola l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), avevano realizzato un quinto del totale dei soccorsi. Oggi il loro ruolo si è ridotto al 6,7%. Significa che solo un migrante su 15 tra quelli salvati in mare finisce su una nave umanitaria. Gli altri 14 però non spariscono nel nulla: vanno ad aumentare il carico di lavoro della guardia costiera e, nella maggior parte dei casi, l’affollamento dell’hotspot di Lampedusa.

A ogni finestra di beltempo dalle coste tunisine partono sciami di barchini – spesso in ferro e dunque ancora più pericolosi – a cui i mezzi dispiegati sulla maggiore delle Pelagie hanno difficoltà a stare dietro. Lo stesso può avvenire in occasione dei grandi soccorsi «d’altura», lontani dalle coste, spesso sulla rotta che parte dalla Libia orientale, la Cirenaica, ed è percorsa da pescherecci carichi di centinaia di persone. Il 3 aprile audito in commissione Trasporti il comandante generale Nicola Carlone ha spiegato che la guardia costiera dispone di 10.800 effettivi. Ne servirebbero tra 12 e 14mila.

Intanto anche la distribuzione delle partenze tra le diverse rotte continua a cambiare. Quest’anno la Tunisia ha scavalcato la Libia, dove la Cirenaica ha guadagnato peso rispetto alla Tripolitania. Al 29 marzo scorso secondo i dati del Viminale diffusi da Agenzia Nova erano arrivate in Italia 15.537 persone dal primo paese e 10.628 dal secondo. La guardia costiera di Tunisi ha bloccato 14.406 persone, quella di Tripoli, che però non opera a Tobruch o Benghazi, «solo» 4.241.

Se l’aumento degli sbarchi è un fatto, lo è anche la sostanziale stabilità del numero di cittadini stranieri presenti in Italia. Non sono cresciuti in maniera rilevante né tra il 2014 e il 2017, quando sbarcarono 625mila persone, né negli ultimi anni. Il dato oscilla intorno ai cinque milioni e mezzo di persone da circa 10 anni (elaborazione di Matteo Villa, Ispi, su numeri Istat e Ismu).

E infatti l’Italia è solo il quarto paese Ue per richieste d’asilo, nonostante sia il primo per numero di sbarchi. Nel 2022 ne ha ricevute 77.195. A fronte delle 116.140 presentate in Spagna, 137.505 in Francia e addirittura 217.735 in Germania (dati riportati dal Consiglio italiano per i rifugiati). Insomma a Berlino sono state il quadruplo che a Roma e tutto lascia credere che andrà così anche quest’anno. Basti pensare ai 76 sopravvissuti al naufragio di Cutro: hanno chiesto protezione internazionale all’Italia soltanto in 23, tra cui 5 minori; tutti gli altri hanno preferito farlo all’estero o cambiare paese autonomamente.

I loro cari annegati davanti alle coste calabresi, invece, sono andati a sommarsi agli altri morti del Mediterraneo. Dall’inizio dell’anno sono già 576 di cui ben 494, cioè l’85%, lungo la rotta centrale che porta in Italia. È questa l’unica vera emergenza che il governo dovrebbe dichiarare.