Sono le 20 e nel lentissimo spoglio delle urne sarde Alessandra Todde ha appena superato di misura Paolo Truzzu, il sindaco di Cagliari fortissimamente voluto come candidato da Giorgia Meloni, quando Matteo Salvini cancella la prevista partecipazione a Quarta Repubblica, su Rete4. Il segnale non potrebbe essere più chiaro. Antonio Tajani, che con la sua lista corre verso un risultato soddisfacente, tanto da dimostrare nelle urne e non solo nei sondaggi che il partito azzurro è ben vivo, mette le mani avanti: «Aspettiamo i risultati definitivi: comunque non ci saranno ripercussioni sul governo». Maurizio Lupi concorda: «In ogni caso non ci saranno ripercussioni su governo e maggioranza. Ma l’esito potrà essere un utile spunto di riflessione».

Il forzista Maurizio Gasparri era riflessivo già da ore. Lo spoglio era appena cominciato è già anticipava che «con tutte le cautele del caso la situazione non mi pare positiva. Bisognerà riflettere». Nel gergo della politica la riflessione non è di solito un esercizio pensoso e pacifico. Al contrario.

Gasparri non era il solo a vederla brutta sin dalle primissime ore. Nella maggioranza, ieri, non c’è stato un attimo di ottimismo: neppure quando in testa figurava Paolo Truzzu. Nel quartier generale del sindaco, anzi, la davano per persa sin dai primissimi dati: «È andata male». Non era pessimismo di maniera ma conoscenza del territorio: il candidato della destra era sì in testa ma i seggi mancanti erano concentrati nelle città più grandi e lì il vantaggio di Todde è sempre stato nettissimo. L’ultima parola, in serata, non era ancora detta ma nelle sedi della maggioranza tutti ammettevano di non aver speranze. Forse per scaramanzia, ma certo non solo.

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A Salvini arriva il conto dei tre mandati

La strategia mediatica i tre leader la decidono a pranzo, in un clima che tutti descrivono come serenissimo, estremamente rilassato, e chissà se è vero. Parola d’ordine: silenzio assoluto. Evitare commenti per «non alimentare polemiche». Di polemiche possibili ce ne sono in effetti molte: i soci della maggioranza sorridono a pranzo ma covano sospetti e risentimenti in quantità industriale.

I tricolori sono convinti che a penalizzare il candidato di Giorgia Meloni sia stato anche il voto disgiunto, rappresaglia della Lega e del Partito sardo d’Azione per la defenestrazione di Solinas, il candidato uscente abbattuto con le cattive dalla premier. I numeri per la verità non supportano il sospetto: Truzzu prende effettivamente qualche voto in meno della coalizione ma è robetta, questione di 3 o 4mila voti. È vero che la percentuale sembra confermare il voto disgiunto, essendo quella del candidato decisamente più bassa di quella della lista ma dipende dall’exploit di Alessandra Todde che invece ha raccolto molti più consensi della sua coalizione. Una candidata giusta a fronte di uno decisamente sbagliato

L’errore che verrà rinfacciato a Meloni, e che Forza Italia già le rinfaccia, non è aver sacrificato Solinas, governatore impopolare in una Regione nella quale quasi per tradizione i governatori uscenti non vengono mai rieletti (non capita da oltre vent’anni). È stato rimpiazzarlo con un sostituto debole, uno dei sindaci meno popolari d’Italia, in nome dei vincoli d’appartenenza: perché era un underdog della generazione Atreju e non per le sue possibilità di vincere. L’eterno tallone d’Achille di Giorgia Meloni.

Tra i leghisti la tensione è alle stelle. Tra l’inchiesta che potrebbe azzoppare l’atout Roberto Vannacci e la batosta sarda il partito di Matteo Salvini si sente accerchiato e anche se nessuno parla apertamente di una regia tricolore il sospetto, anche qui, è sovrano. Ma non è che Salvini abbia le carte in regola per andare all’attacco: se la scelta sbagliata di Meloni ha pesato molto, l’esperienza disastrosa di Solinas ha fatto la sua parte. Senza contare le divisioni. Tutti ammettono che essere arrivati al voto accapigliandosi sul candidato non è stato precisamente il massimo. Nelle prossime elezioni regionali bisogna evitare di ricaderci.

Lo dicono tutti. Forse ci credono. Però con il pollice verso della premier sul terzo mandato, l’inevitabile decisione della Lega di tornare alla carica su quel fronte e la ferma determinazione di Giorgia Meloni nello strappare il Veneto alla Lega riuscirci non è neppure una pia illusione. È un miraggio.