Alla sanità pubblica italiana mancano almeno 50 miliardi per arrivare a un’incidenza media sul Pil analoga agli altri paesi Ue: nel 2021 ci siano attestati a meno 38% circa (meno 12% di spesa privata e meno 44% circa di spesa pubblica). Il dato è contenuto nel rapporto del centro di ricerche Crea Sanità curato da Federico Spandonaro, Daniela D’Angela, Barbara Polistena, al quale hanno preso parte oltre 30 tra ricercatori ed esperti, molti dei quali operano presso l’Università di Tor Vergata di Roma e l’Università telematica San Raffaele.

LA SPESA SANITARIA dal 2000 al 2021 è salita in media del 2,8% ogni anno, il 50% in meno degli altri paesi Ue di riferimento. «Per recuperare – si legge – servirebbe una crescita del finanziamento di 10 miliardi all’anno per 5 anni più quanto necessario per garantire la stessa crescita degli altri paesi, ovvero altri 5 miliardi». Tuttavia, prosegue il report, «nei documenti di finanza pubblica sono previsti meno di 2 miliardi per anno, un settimo del necessario». Senza i fondi necessari per mantenere il servizio sanitario nazionale universalistico (o una crescita consistente del Pil) si arriverà a un «universalismo selettivo» senza equità di accesso.

NEL 2021 il finanziamento pubblico si è fermato al 75,6% della spesa contro una media Ue dell’82,9%. La spesa privata incide per il 2,3% sul Pil (contro una media Ue del 2%) pari a 1.800 euro a nucleo familiare, scaricando ad esempio sulle famiglie oltre un miliardo di uscite per farmaci rimborsabili. Aumenta anche il disagio economico per le spese sanitarie che colpisce il 5,2% delle famiglie. Inoltre, 378.627 nuclei familiari (l’1,5%) si impoveriscono per le spese sanitarie e 610.048 (il 2,3%) sostengono spese cosiddette «catastrofiche».

CARENZA DI PERSONALE. Dovremmo investire 30,5 miliardi per allinearci agli organici Ue: in Italia i medici ogni mille abitanti sono un po’ di più ma, se si considera la popolazione over 75, ne potrebbero mancare circa 30mila e per il riequilibrio se ne dovrebbero assumere almeno 15mila ogni anno per i prossimi 10 anni considerati i pensionamenti (circa 12mila l’anno). La carenza di infermieri è anche più grave: supera le 250mila unità rispetto ai parametri Ue e, comunque, solo per il nuovo modello disegnato dal Pnrr ne servirebbero 40/80mila in più. Di nuovi infermieri, quindi, ne servirebbero 30/40mila l’anno considerando i pensionati (circa 9mila l’anno).

NUMERI IRRAGGIUNGIBILI anche per la scarsa attrattività del settore rispetto al resto del continente: entrano in Italia meno dell’1% dei medici contro il 10% (fino al 30%) negli altri paesi; meno del 5% degli infermieri contro il 15% del Regno unito e il 9% della Germania. «I medici italiani guadagnano in media il 6% in meno e gli infermieri in media il 40% in meno dei loro colleghi europei. Se, oltre agli organici, si volesse considerare anche la necessaria rivalutazione delle retribuzioni, l’onere per la spesa corrente del Ssn crescerebbe a 86,8 miliardi di euro. Senza risorse e senza personale è anche impossibile recuperare il 65% di prestazioni perse durante la pandemia».

SOSTENERE il servizio sanitario con fondi e personale adeguati è la priorità. Il governo potrebbe però eludere il problema con un emendamento proposto dall’Udc nel Milleproroghe che, se passasse, consentirebbe ai medici dipendenti o convenzionati con il Ssn di rimanere in servizio fino a 72 anni su base volontaria (misura finanziata con 10 milioni di euro). Mentre un altro emendamento di FdI prevede la permanenza su base volontaria fino a 70 anni. La reazione dei sindacati è stata un no secco: «Le forze di maggioranza hanno riproposto una misura già bocciata nell’ultima legge di bilancio che non riduce il ricorso alle cooperative ma produce il congelamento delle carriere e delle assunzioni negli ospedali in un momento in cui il numero di contratti di formazione specialistica registra un notevole incremento».

ANCHE DI QUESTO si è discusso ieri all’incontro tra il ministro della Salute Schillaci e l’intersindacale che riunisce le principali sigle del comparto. È stato deciso, recita la nota delle organizzazioni di categoria, di istituire un tavolo permanente per «ripristinare le relazioni sindacali, trovare soluzioni ai tanti problemi del nostro sistema la cui ripresa non può essere affidata al mantenimento in servizio fino a 72 anni dei medici, dirigenti e veterinari».

ALTRO PUNTO è riformare il dm 70, cioè l’assetto del sistema ospedaliero varato nel 2015, «strumento ormai obsoleto». E ancora: abbattere i tetti di spesa per l’assunzione di personale; rivedere i fabbisogni; una riforma del sistema formativo con l’introduzione del contratto di formazione lavoro; risorse extra «per restituire dignità ai sanitari». Infine: «Occorre una forte innovazione del rapporto di lavoro di categorie che sono assediate dal mercato privato, pronto a sottrarne le abilità».