Un Natale ortodosso di guerra, in Ucraina, questo 7 gennaio, con due morti in bombardamenti nella zona di Bakhmut nonostante la promessa di un cessate il fuoco. Ma pur sempre un Natale, con i regali. La Banca centrale ucraina ieri ha comunicato che nell’anno appena trascorso, il paese ha ricevuto 32 miliardi di dollari di finanziamenti e prestiti, il 16% del pil del paese prima della guerra. Il 40% di questa cifra è arrivato dagli Usa, quasi il 25% dall’Unione europea – la sola Germania ha dato 1,6 miliardi – , circa l’8% dal Fondo monetario internazionale. E altri 32 miliardi sono già in arrivo per il 2023, lo ha comunicato il G7 dei ministri delle finanze, riunito due giorni prima del Natale cattolico.

Nell’anno della guerra, il pil dell’Ucraina è crollato del 30%, significa che metà di quanto distrutto dai combattimenti è tornato indietro sotto forma di finanziamenti.

E SONO “SOLO” i soldi. In termini di armamenti la cifra si fa molto più consistente, come pure la qualità dell’equipaggiamento fornito, ed è destinata a crescere nel 2023. Il presidente americano Joe Biden ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari per 3 miliardi di dollari. Potrebbe avere un problema con il neo-eletto speaker della Camera Kevin McCarthy, che per superare l’estenuante quindicesima votazione ha dovuto fare un’ennesima promessa agli ultra-conservatori fiscali, la più ingombrante di tutte: tagliare drasticamente i 75 miliardi di spese militari che gli Stati uniti hanno in bilancio.

Stati uniti che stanno controllando strettamente anche i contributi degli alleati, telefonate da Washington sono arrivate anche a Roma per garantirsi l’approvazione del decreto armi dell’Italia, il sesto, da parte del governo Meloni. Con particolare riferimento allo scudo antimissile Samp-T, un sistema di missili terra-aria che potrebbe proteggere il cielo di Kiev da aerei, droni e altri missili – equipaggiata con tutti i suoi 32 missili ogni batteria costa 800 milioni e l’Italia ne ha solo cinque, il governo Draghi promise di inviare la sola batteria da addestramento – senza missili – ma poi anche il Samp-T scarico sparì dai vari decreti.

Non mancherà l’occasione per rifarsi. Tra meno di due settimane, il 20 gennaio torneranno a riunirsi gli alleati in sostegno dell’Ucraina, un curioso format composto da una cinquantina di paesi, tra cui i 30 della Nato e un’altra decina scelti con grande accuratezza (Giappone, Australia e Nuova Zelanda, Corea del Sud…).

SI RIUNIRANNO a Ramstein, cittadina tedesca, principale base degli Stati uniti in Europa – e territorio americano, per capire chi sarà il padrone di casa. Lo avevano già fatto a fine aprile scorso, nella concitazione dell’invasione, ed era stato un vero e proprio consiglio di guerra: da allora ogni paese alleato ha garantito denaro, armi e aiuti all’Ucraina in quantità industriale, con l’obiettivo non più di sorreggere la resistenza ucraina fino a fermare la guerra, se mai c’era stato, ma di portare l’Ucraina invasa fino al punto di piegare la Russia – la “vittoria di Kiev” che nei mesi successivi diventò moneta diplomatica corrente. Iniziato a Ramstein, quel processo “fino alla vittoria” è pienamente in corso.

LA DOTTRINA RAMSTEIN non ha fermato la guerra, anzi l’ha portata oltre i confini dell’Ucraina fino ai pure sporadici attacchi in territorio russo, e politicamente l’ha portata fino ai confini dell’altro nemico, la Cina – il “solito” speaker McCarthy non ha praticamente citato l’Ucraina nel suo discorso di insediamento, ma ha citato eccome la volontà di “battere il comunismo cinese”. Il prossimo Natale potrebbe essere persino peggiore di questo.